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23.09.2001

Cara ONU, non avrai il nostro sangue

«Il Mattino della domenica» del 23 settembre 2001 Pagina a cura di Flavio Maspoli E' passata al Nazionale l'iniziativa popolare sull'adesione: probabile il voto in marzo, e gli oppositori ad un progetto che piace al solo Consiglio federale stanno già affilando le armi.   Quella di questa settimana è una cena? dello spirito: con Christoph Blocher si parla nel "corridoio dei passi perduti", appena fuori dall'aula del Nazionale, sùbito dopo che una larga maggioranza die deputati ha votato a favore dell'iniziativa popolare per l'adesione all'Onu. Blocher ha appena spiegato la sua posizione senza mezzi termini e con la passione che tutti gli riconoscono.   Il suo è stato un appello accorato e che ha messo non poco in difficoltà il Consigliere federale Joseph Deiss; il quale, tuttavia, ha potuto contare sulla schiera dei fautori del "partito preso", e dunque si è sentito persino in dovere di ironizzare sulle parole del Consigliere nazionale zurighese.     Proviamo a riassumere le ragioni in forza delle quali la Svizzera non deve entrare nell'Onu?   Christoph Blocher: Mi domando se esista un solo motivo per il quale la Svizzera dovrebbe entrare a far parte dell' Onu politica. Facciamo già parte di tutte le sottoorganizzazioni delle Nazioni unite, e paghiamo già oltre 500 milioni di franchi all'anno. Ebbene, adesso c'è chi vuole farci firmare a forza un contratto che attribuirebbe al Consiglio di sicurezza di quell'organizzazione una quantità inverosimile di poteri: la facoltà di imporci l'attuazione di sanzioni economiche e politiche verso questo o quel Paese, la facoltà di imporci l'interruzione dei rapporti con questo o con quel Paese, eccetera. Nel Consiglio di sicurezza siedono le "grandi potenze", quelle che hanno il diritto di "veto"; e noi, una volta che avessimo aderito all'Onu, verremmo trascinati nei conflitti internazionali perdendo automaticamente la neutralità. Allucinante: l'essere neutrali, infatti, significa il non immischiarsi in conflitti internazionali.   Dopo aver seguito il dibattito in Parlamento, però, c'è chi potrebbe avere questa impressione: Christoph Blocher dice il falso, e la ragione sta dalla parte del Consiglio federale.   Blocher: Non so, io non ho avuto l'impressione che il Consiglio federale abbia ragione. Sebbene continui a sbandierare il contrario, il Consiglio federale non vuole più una Svizzera neutrale. Della neutralità del nostro Paese il Consiglio federale si fa scherno? Semmai il Consiglio federale vuole partecipare, viaggiare, saltellare da una conferenza all'altra, infine parlare e chiacchierare senza curarsi dei risultati. Anzi, i risultati sono la minore delle preoccupazioni del nostro Esecutivo. Ma è il Popolo a volere la neutralità, ed a volerla proprio per evitare che i politici possano trascinare il Paese in qualche pasticcio.   Come verrà articolata la campagna in vista della votazione popolare di marzo (questa, almeno, è la data più probabile)?   Blocher: Molto semplicemente: diremo a chiare lettere al popolo svizzero che cosa noi tutti perderemmo entrando a far parte dell'Onu. Ero copresidente del comitato contro l'adesione all'Onu già nel 1986 e, in quell'occasione, il 75 per cento delle cittadine e dei cittadini svizzeri si pronunciò con un "no" all'adesione.   Durante il dibattito parlamentare molti deputati hanno affermato di essere stati contrari all'adesione all'Onu nel 1986, ma di aver cambiato idea, proprio perché i tempi sarebbero cambiati. Quali sono questi cambiamenti, sempre nell'illogica dell'adesione all'Onu?   Blocher: Come detto, nel 1986 ero presidente del comitato contro l'adesione all'Onu e francamente non mi ricordo di aver visto tra i militanti quei deputati che hanno affermato di essere stati contrari allora ma si dichiarano favorevoli oggi. Ricordo invece benissimo il fatto che, già allora, in Parlamento i contrari erano piuttosto isolati. Nemmeno il gruppo dell'Udc era compatto per il "no": a sostenere la "non adesione" eravamo quei pochi "Mohicani"? la maggior parte dei quali, oggi, non è più presente in Parlamento. Oh, sicuro: è possibile che, nel 1986, dietro le nostre quinte vi fosse taluno di quelli che dicono di essere a favore oggi. Di certo so che oggi la pressione da parte della classe politica è molto più virulenta rispetto ad allora, con un tentativo surrettizio di far credere che contrarî all'adesione siano soltanto i sostenitori dell'Udc e della Lega.   Un suo collega ha affermato a chiare lettere in Parlamento quanto segue: alcuni funzionari del Dipartimento federale degli affari esteri avrebbero partecipato attivamente alla raccolta delle firme per l'iniziativa per l'adesione all'Onu.   Blocher: Vero. Non solo: quei funzionari hanno raccolto firme durante le ore di lavoro ed usando i telefoni della Confederazione. Ho ricevuto lamentele da parte di alcuni funzionari che mi hanno testualmente detto di essere stati costretti a raccogliere firme. Ho scritto al consigliere federale Deiss per saperne di più? e per tutta risposta Deiss ha asserito che il raccogliere firme per un'iniziativa è un diritto delle cittadine e dei cittadini. Questa è la realtà in cui ci muoviamo. Nel caso specifico, siamo arrivati al punto che il Consiglio federale ha promosso l'iniziativa, l'ha fatta, ha aiutato a raccogliere le firme attraverso i funzionarî quando si è accorto che l'iniziativa stava per fallire e, "dulcis in fundo", investe milioni di franchi "pubblici" per convincere il Popolo a votare "sì". Questo è il modo in cui, oggi, il Consiglio federale rispetta la democrazia, ed ecco la vera ragione per cui esso vuole entrare a far parte di tutte le organizzazioni internazionali: il Popolo dovrà solo pagare, senza più avere nessun diritto e senza più poter dire la sua.   E che cosa pensa di fare per evitare questo suicidio assistito?   Blocher: Votare e far votare "no" per l'adesione all'Onu.   Da parte nostra, in questo senso, non vi è problema alcuno. Argomento correlato: come valuta gli assalti terroristici agli Stati Uniti?   Blocher: I gravi attacchi agli Usa dimostrano quanto pericoloso sia ormai il mondo. Le chiacchiere secondo cui sarebbe possibile aggredire un Paese solo dopo aver annunciato le proprie intenzioni con largo anticipo non corrispondono in nessun modo alla realtà. Oggi sappiamo che attacchi ed aggressioni possono aver luogo a sorpresa e partire dal Paese stesso, ed è per questo che bisogna stare in guardia. Anche la Svizzera deve prestare parecchia attenzione. Non si dimentichi che qui sono state tollerate a lungo attività terroristiche di gruppi stranieri sul territorio: l'Uck, ad esempio. Non so fino a che punto noi siamo coinvolti nel caso specifico, ma so che queste cose sono da prendersi sul serio. E' allora necessario l'istruire i nostri organi di sicurezza in modo da poter evitare pericoli analoghi. E se, ad onta di ogni sforzo preventivo, azioni terroristiche avessero luogo sul nostro territorio, dovremo essere pronti ad intervenire immediatamente.   Come reagirebbe se venisse a sapere che i terroristi che hanno attaccato gli Usa disponessero di fondi nelle banche svizzere?   Blocher: Questo non può essere escluso "a priore", anche perché il terrorista viene riconosciuto come tale solo dopo aver compiuto l'attacco? prima si tratta di una persona come tutte le altre, gentile, incensurata e "normale" a tutti gli effetti. Tuttavia, quando si è sicuri del contrario, i conti in questione sono da bloccarsi e da chiudersi. Nel nostro Paese non c'è posto per quel genere di denaro.   Qualcuno potrebbe pensare: agendo così, viene indebolito o allentato il principio del segreto bancario.   Blocher: No. Il terrorismo, fino a prova contraria, è un'azione criminale, ed i soldi che sono provento di azioni criminali o che servono a finanziare azioni criminali non ricadono sotto le norme proprie del segreto bancario.   A suo avviso, quali ripercussioni avranno questi eventi sulla Svizzera?   Blocher: Io spero che ora la Svizzera si svegli e riconosca: a) che questi sono i pericoli con cui saremo confrontati nell'immediato futuro; b) che questi sono i pericoli che dobbiamo essere pronti a combattere.   Che cosa può fare, in questo senso, il nostro Esercito?   Blocher: Noi abbiamo bisogno di un Esercito di milizia forte e numeroso, di un Esercito con competenze e con una conoscenza concreta del territorio, di un Esercito che sia addestrato per far fronte ad ogni tipo di situazioni, di un Esercito che sia pronto ad intervenire in ogni momento e rapidamente. Non abbiamo bisogno di carri armati, bensì di battaglioni di fanteria addestrati per compiti speciali e che siano, mi ripeto, pronti ad intervenire rapidamente. Un po', se mi permette il paragone, come avviene con i pompieri.   I sondaggi più recenti danno in ascesa il suo partito e quello liberale-radicale, in ascesa, mentre Ppd e socialisti sarebbero in calo?   Blocher: Ma è possibile che il Ppd possa calare ancora?.   Scherzi a parte, crede che questi sondaggi siano pilotati e che, in fondo, si tratti di giochi tattici? Oppure attribuisce fiducia ai sondaggi?   Blocher: Non so che dirle. Io non ho mai creduto molto ai sondaggi. Il nostro partito combatte per ottenere un buon risultato anche nelle prossime elezioni nazionali. D'accordo, forse non potremo crescere fino a toccare il cielo; io sarei contento se ci riuscisse di confermare i risultati delle ultime elezioni.   Qualora ciò accadesse si riproporrebbe la questione del secondo consigliere federale?   Blocher: E' chiaro che, se del caso, noi lo chiederemo. Se non ce lo dovessero dare, be', gran parte del nostro gruppo sarà ancora all'opposizione.   A proposito: per la cena, come facciamo?   Blocher: In un momento più tranquillo, ammessa e non concessa la tesi secondo cui questi tempi verranno.   * * *   Beh: comunque sia, il "menù" è già ampiamente fissato.   IL «MENU BLOCHER»   "Croûtes au fromage" - Tagliate alcune fette di pane bianco piuttosto spesse (una fetta a persona) e inzuppatele di vino bianco. Tagliate alcuni spicchî di aglio a fettine molto sottili e disponete queste ultime sulle fette inzuppate che porrete in una pirofila inburrata. Prendete qualche pezzo di formaggio dell'Alpe o di groviera e mettetelo nel "mixer-cutter" (100 grammi per persona), aggiungete un rosso d'uovo (uno per 4 persone) e, a poco a poco, panna liquida fino al momento in cui otterrete una crema non troppo liquida. Disponete la crema sulle fette di pane, pepate a volontà e secondo i vostri gusti ed infilate la pirofila nel forno preriscaldato (180 gradi) fino a che il formaggio sia dorato. Servite le fette molto calde.   Fegato di vitello con Rösti - Il giorno prima, fate bollire qualche patata con la buccia. Pelate le patate, passatele alla grattugia, salatele e pepatele. In una padella fate rosolare alcuni dadi di speck affumicato in molto burro per arrostire. Aggiungete le patate, cercando di non schiacciarle troppo, e appiattitele. Quando avete l'impressione che i Rösti siano dorati, girateli usando un coperchio (come si fa con le frittate) e fateli dorare anche dall'altra parte. Se necessario, aggiungete ancora un po' di burro per arrostire. Nel frattempo, prendete il fegato di vitello sminuzzato e fatelo rosolare a fuoco vivo. A metà cottura toglietelo dal fuoco e scolatelo dal grasso. In un'altra padella fate appassire una cipolla in poco burro. Aggiungete una spruzzata di vino bianco e un dado (se possibile, fondo bruno di vitello al posto del dado, ovviamente?). Fate ridurre la salsa ed aggiungete panna liquida parimenti da far ridurre. Abbassate il fuoco ed aggiungete il fegato sminuzzato che non deve più bollire. Fate riposare un attimo e servite con i Rösti.      

19.09.2001

Blocher gegen Gysin: «Jetzt erst recht (nicht) in die UNO!»

Streitgespräch mit Nationalrat Remo Gysin in der Basler Zeitung vom 19. September 2001 Christoph Blocher und Remo Gysin, die beiden Hauptkontrahenten der Abstimmungskampagne über den UNO-Beitritt, stritten gestern am Rand der UNO-Debatte im Nationalrat darüber, ob und wie die Terroranschläge in den USA den Entscheid des Schweizervolks beeinflussen. Blochers Nein zur UNO ist schärfer, Gysins Ja klarer geworden. Moderiert und aufgezeichnet: Niklaus Ramseyer, Tilman Renz und Lukas Schmutz Herr Blocher und Herr Gysin, was ist in den USA passiert und welche Schlüsse ziehen Sie aus diesen grässlichen Ereignissen? Blocher: Da haben raffinierte und intelligente Leute ohne grosse eigene Mittel ungeheure Wirkung erzielt und grossen Schaden angerichtet. Bezeichnend ist dabei, dass sie aus dem angegriffenen Land heraus agiert und zum Teil im Lande selbst zuvor noch trainiert haben. Wenn es bin Laden war, wäre es sogar ein Angreifer, der früher vom amerikanischen Geheimdienst bezahlt und ausgebildet worden ist. Und was folgern Sie daraus für die Schweiz? Blocher: Man muss das ernst nehmen und unser Land muss seine Sicherheitssysteme endlich darauf ausrichten. Dass wir militärisch angegriffen würden und dass es nach langen Vorwarnzeiten zu grossen Panzerschlachten käme, das steht nicht mehr im Vordergrund. Es braucht ein gründliches Umdenken in der Sicherheitspolitik. Wie sieht Ihre Analyse aus Herr Gysin? Gysin: Kernpunkte sind unbeschreibliches Leid als Folge einer furchtbaren Gewalt, dann auch die Demütigung eines ganzen Landes, einer Supermacht. Das ist Terrorismus in schwerster Form; und die Auswirkungen lassen sich noch gar nicht abschätzen. Getroffen wurden zudem Symbole der westlich-kapitalistischen Welt mit ihrer Führungsmacht Amerika. Das zentrale Symbol des Militärs wurde getroffen, das sich als ohnmächtig erwiesen hat... Blocher: ...wie auch die CIA... Gysin: ...genau, wie auch die CIA. Getroffen wurde auch ein Hauptsymbol des Welthandels. Dahinter stecken Armut und weitere Ursachen des Terrorismus. Und Ihre Folgerung für die Schweiz? Gysin: Das Militär aufzurüsten, wie das Herr Blocher will, ist unnötig. Es gibt für mich zwei Strategien: Erstens, den Terroristen den Nährboden entziehen und Ungerechtigkeiten abbauen. Zweitens ihre Waffen- und Finanztransaktionen unterbinden. In der Schweiz müssen wir ein Klima der Toleranz gegenüber den Fremden schaffen. Wir müssen mehr über den Islam wissen ... Blocher: Gut, aber bei den Hintergründen aufpassen. Bei bin Laden hat das nichts zu tun mit der Armut. Dahinter stecken ausgesprochen reiche Leute. Für sie ist es eine ethnische und religiöse Auseinandersetzung. Ihr Netz ist eben auch in den reichen Ländern verankert. Die Frage ist, können Sie sich mit Ihrer Toleranz gegen solche Kämpfer wappnen? Gysin: Ich rede doch nicht von Toleranz gegenüber Terroristen. Und die Wahrscheinlichkeit, dass religiöser Fanatismus mit hineingespielt hat, ist gross. Aber die Rekrutierungsbasis der Terroristen liegt bei den Menschen, die nichts mehr zu verlieren haben. Wie beeinflussen die Ereignisse das Verhältnis der Schweiz zur UNO? Blocher: Es ist klar sichtbar geworden, wie ausserordentlich wichtig die Neutralität für uns als Sicherheitsgarantin ist. Und zwar die bewaffnete, immer währende, selbst gewählte und bündnisfreie Neutralität. Das ist das Mittel, dass wir nicht in solche verrückte Auseinandersetzungen hineingezogen werden. Wenn es bin Laden war, war es einmal schick, dass man Terroristen aufrüstet, das hat damals niemanden geärgert, und einige Jahre später will man nun das Gegenteil tun. Als kleiner Staat darf man sich da nicht reinziehen lassen. Und das ist der springende Punkt, warum ich gegen den Beitritt zur UNO bin. Gysin: Ich sehe das völlig anders. Dieser schreckliche Terroranschlag hat gezeigt, dass Gemeinschaft gefragt ist. Ein einzelnes Land kann wenig dagegen ausrichten. Da findet die UNO in ihren Kernaufgaben eine Bestätigung - nämlich präventiv gegen Armut, Diskriminierung und auch gegen Rassismus vorzugehen. Die UNO, Herr Blocher, bekämpft seit 1972 auch ganz konkret den Terrorismus. Sie hat erst kürzlich neue Konventionen gegen Bombenterror und gegen die Finanzierung des Terrorismus beschlossen ... Blocher: ...mit welchem Erfolg?... Gysin: Die Schweiz wird das nächstens ratifizieren. Das Bankgeheimnis darf Terroristen wie Mobutu nicht mehr schützen. Herr Blocher, die Schweiz ist bei allen UNO-Unterorganisationen dabei und zahlt dafür 450 Millionen pro Jahr. Sie sind gegen die UNO. Warum verlangen Sie nicht auch den Rückzug aus den Unterorganisationen? Da könnten Sie erst noch viel Geld sparen. Blocher: Die Teilnahmen an technischen Unterorganisationen ist mit unserer Neutralität nicht im Widerspruch. Wir werden dadurch nicht verpflichtet, gegen andere Staaten diskriminierende wirtschaftliche, politische oder gar militärische Massnahmen mitzumachen. Bei all den Bereichen, die Herr Gysin angesprochen hat, sind wir dabei: Menschenrecht, Bildung, Landwirtschaft, Gesundheit, Währungsfonds überall sind wir mit dabei. Das entscheidende ist jedoch der Vertrag über die Vollmitgliedschaft, weil der Sicherheitsrat gemäss Artikel 41 der Charta Mitglieder zu diskriminierenden Massnahmen verpflichten kann. Darin haben fünf Grossmächte das Vetorecht und da würden wir reingezogen. Sie wollen die Neutralität zu einem zentralen Argument Ihres Abstimmungskampfs machen, Herr Blocher. Warum eigentlich, alle andern Neutralen sind in der UNO und spielen eine wichtige Rolle, haben Generalsekretäre gestellt. Gysin: Genau, Irland, Österreich, Schweden - alle Neutralen sind dabei. Blocher: ...Ich muss Ihnen sagen, die Neutralitäten Finnlands und Schwedens sind nicht integral. Schweden hat eine Neutralität von Fall zu Fall, und Österreich hat eine Verpflichtung aus dem Friedensvertrag... Gysin: ...und Turkmenistan hat nochmals eine andere Neutralität und auch die Schweizer Neutralität ist nicht mehr die gleiche wie früher. Und die UNO akzeptiert alle Neutralitäten. Aber Ihre Neutralität ist nicht die, mit der wir leben... Blocher: ... das ist interessant Herr Gysin. Was wollen Sie denn für eine? Keine integrale? Keine dauernde? Keine bewaffnete, nicht eine bündnisfreie, dann sagen Sie uns das doch mal. Sagen Sie es, Herr Gysin! Gysin: Wir... Blocher: ...wer wir? Gysin: ...wir Befürworter ... Blocher: ...aha, gut!... Gysin: ... wir Befürworter stützen uns auf die Neutralität, so wie sie in der Verfassung steht. Diese wird auch von der UNO respektiert. Lesen Sie Artikel drei Absatz drei der UNO-Charta. Über militärische Sanktionen werden wir auch als UNO-Mitglied allein entscheiden. Das tangiert unsere Neutralität nicht. Armutsbekämpfung, Gesundheitspolitik und Friedenspolitik... Blocher: ...da sind wir überall dabei... Gysin: ... das sag ich ja, die UNO hat Kopf und Beine. Wenn wir nur bei den Gliedern, den Spezialorganisationen, beim Kopf jedoch, also bei der Generalversammlung, nicht dabei sind, dann klappt das nicht. Nun aber nochmals zur Neutralität. So wie die Schweiz sie versteht, gilt sie militärisch gegenüber einzelnen Ländern. Die UNO ist aber eine Gemeinschaft, bei der alle dabei sind. Die UNO ist in der Rolle des Polizisten gegenüber dem Verbrecher und da gibt es keine Neutralität, wie auch nicht gegenüber Terroristen - oder sind Sie da anderer Meinung? Blocher: Terroristen sind Kriminelle; sie vertreten keinen Staat. Zur Neutralität. Es ist nicht neu, dass die Politiker die Neutralität nicht achten, weil die Neutralität die Politiker in ihrer Bewegungsfreiheit einschränkt. Neutralität heisst sich nicht einmischen... Gysin: ...Sie reden, als ob sie kein Politiker wären... Blocher: ...ich begreife, dass Sie es nicht gern hören, wenn ich über Neutralität spreche... Gysin: ...doch, Neutralität ist eines meiner Lieblingsthemen... Blocher: ...also, Neutralität ist das typische Mittel des Kleinstaates, nicht in Auseinandersetzungen der Grossstaaten hineingezogen zu werden und sich nicht einzumischen. Und sie ist für die Schweiz nur dann glaubwürdig, wenn sie dauernd ist. Eine solche Neutralität hat nur die Schweiz. Heute nutzen wir die Chancen nicht, die sich daraus ergeben, weil der Bundesrat die Neutralität eigentlich nicht mehr will. Er will ja in die EU und in die UNO ist nur eine Etappe dafür... Gysin: ...Jetzt vermischen Sie aber alles... Blocher: ...nein, ich zitiere nur Herrn Deiss, und zwar wörtlich. In dieser ganzen Öffnung ist die UNO eine Etappe und da hat die Neutralität keinen Platz. Es tut mir leid, dass ich das sagen muss... Gysin: Nach Ihrem Gusto heisst Neutralität, dass wir wirtschaftliche Sanktionen der UNO durchbrechen und Despoten wie Saddam Hussein beliefern. Blocher: Nein, wir stehen eben auf keiner Seite. Das ist die grosse Kunst. Herr Gysin, wer definiert denn, wer die Despoten sind? Gysin: Das macht der UNO-Sicherheitsrat. Blocher: eben, eben... Im Sicherheitsrat haben fünf Grossmächte ein Vetorecht - da geht also Macht vor Recht. Wie wollen Sie das dem Volk erklären, Herr Gysin? Gysin: Das wäre historisch erklärbar, ich will es aber nicht erklären, weil es auch für mich nicht akzeptabel ist. Das wollen wir ändern. Aber wir können es besser, wenn wir drin sind, als wenn wir draussen vor der Tür bleiben. Blocher: Ha, Illusionen, Illusionen! Gysin: ...zudem tragen wir jetzt schon alle wirtschaftlichen Sanktionen der UNO mit... Blocher: ...der Bundesrat macht das freiwillig, nicht wir... Gysin: ...die Schweiz macht das, und auch Sie können nicht anders, Herr Blocher. Und ich finde es auch richtig so... Blocher: ...Sie schon, das ist ja klar, es ist Ihnen auch gleich, was für Dummheiten passieren... Gysin: ...nein, sicher nicht... Blocher: Doch, Hauptsache ist Ihnen doch, Sie sind dabei. Herr Blocher, die Wirtschaftsverbände sind für den UNO-Beitritt. Warum sind Sie als Grossunternehmer dagegen? Blocher: Die Wirtschaftsverbände schauen immer, wo die momentanen Interessen sind. 1992 waren sie für den EU-Beitritt und heute wollen sie nichts mehr davon wissen. So schnell geht das. Aber man kann nicht die Staatsprinzipien nicht nach den momentanen Interessen ändern. Gysin: Die Wirtschaft hat eingesehen, dass ein Gegengewicht zur nur wirtschaftlichen Globalisierung notwendig ist, wo soziale, menschenrechtliche und ökologische Standards mit hineinkommen. Und dieses Gegengewicht kann nur die UNO schaffen. Warum meinen Sie, werden die Terror-Anschläge in den USA die UNO-Abstimmung in Ihrem Sinne beeinflussen? Blocher: Weil sie zeigen, wie unglaublich, die Machtauseinandersetzungen auf der Welt sind. Es ist wichtig, sich nicht in diese einzumischen, um glaubwürdig neutral zu bleiben. Gysin: Ich bin nicht sicher, wie das Schweizer Volk auf die Ereignisse reagiert und wie die Abstimmung herauskommt. Aber es war ein sehr starkes Gemeinschaftsgefühl spürbar. Es ist offensichtlich, dass Terrorismus in dieser Form vor keinen Landesgrenzen halt macht.

10.09.2001

»Bevölkerung hat Belastung und zu kleinen Nutzen»

Interview mit den Schaffhauser Nachrichten vom 10. September 2001 SVP-Nationalrat Christoph Blocher kritisiert das Zürcher Flughafenkonzept und die Verhandlungstaktik des Bundesrats. Interview: Benjamin Gafner Herr Blocher, wie viel fliegen Sie? Christoph Blocher: Zehn- bis zwölfmal im Jahr, nach Übersee oder beispielsweise nach London. Nach Paris benutze ich den Zug, das ist einfacher. Ich bin nicht gegen das Fliegen, aber ich bin dagegen, dass man unnötig herumfliegt. Sie würden also nie einen 100-Franken-Flug nach London buchen, um übers Wochenende einkaufen zu gehen? Blocher: Nein, nein. Das ist auch gar nicht mein Bedürfnis. Ich sage nicht, dass man es den Leuten verbieten soll, kurz nach London zu fliegen, um einkaufen zu gehen. Ich halte das aber nicht für sinnvoll. Vom Fluglärm sind Sie verschont in Ihrem Heim in Herrliberg. Wären Sie bereit, im Sinne einer gerechten Verteilung mehr Fluglärm zu ertragen? Blocher: Fluglärm haben wir auch, und zwar Helikopter vom Militärflugplatz Dübendorf. Es ist klar: Fluglärm hat niemand gern. Wo soll der Fluglärm im Zusammenhang mit dem Flughafen Kloten stattfinden? Blocher: Dort, wo er am wenigsten stört, also über Gebieten, die wenig besiedelt sind. Auch aus Sicherheitsgründen sollte beispielsweise nicht über die Agglomeration Zürich gestartet und gelandet werden. Dies ist mit dem heutigen Flugregime weitgehend gewährleistet. Deshalb soll daran festgehalten werden. Von einer gleichmässigen Verteilung des Fluglärms rund um den Flughafen halten Sie also nichts? Blocher: Das ist eine der dümmsten Forderungen, die je aufgestellt wurden. Der Fluglärm sollte - genau wie der Strassenverkehrslärm - kanalisiert werden. Stellen Sie sich vor, man käme plötzlich auf die Idee, den Strassenverkehr nicht mehr auf der Autobahn zu konzentrieren, sondern im ganzen Land "demokratisch" zu verteilen, damit alle gleich viel haben. Das wäre doch Humbug. Wenn Sie den Fluglärm auf die Bodenseeregion, den Kanton Schaffhausen, den Thurgau, den gesamten Kanton Zürich, den Aargau und weitere Gebiete verteilen, müssen Sie am Schluss überall Lärmschutzmassnahmen ergreifen. Das ist doch nicht sinnvoll. Sie lehnen den Staatsvertrag mit Deutschland ab und bezeichnen die Verhandlungsweise des Bundespräsidenten als dilettantisch. Weshalb diese scharfe Formulierung? Blocher: Weil sie der Tatsache entspricht. Der Bundesrat hat wieder den gleichen Fehler gemacht wie bei den Verhandlungen über die bilateralen Verträge mit der EU: Der Bundespräsident darf doch nicht persönlich verhandeln gehen. Als höchster Regierungsvertreter der Schweiz kann er im Ausland nicht sagen, er müsse nun zuerst zu Hause die Erlaubnis für ein Entgegenkommen einholen. Man sollte deshalb andere Vertreter an die Verhandlungen schicken, während die Regierung zu Hause im Hintergrund eine klare Position innehält. Die Verhandler kehren zurück, berichten dem Bundesrat und holen neue Direktiven ab. So gewinnt man Zeit zum Überlegen und Diskutieren. Es ist wichtig, dass die eigenen Verhandler, die an der Front tätig sind, desavouiert werden können. Nur so gewinnt man. Der Bundespräsident sollte notfalls höchstens noch am Schluss hingehen und den Vertrag feierlich unterschreiben. Sie vergleichen politische Verhandlungen offensichtlich mit Ihren Verhandlungen in der Wirtschaft? Blocher: Das ist doch genau dasselbe. Meinen Sie, ich nehme als oberster Chef der Ems Chemie an Verhandlungen teil? Wenn alles sehr gut läuft, gehe ich höchstens am Schluss selbst noch hin, wenn wir abgemacht haben, wo wir im einen oder anderen Punkt noch etwas nachgeben. Der Bundesrat hat einmal mehr dilettantisch verhandelt. Es ist ja unglaublich, welch schlechten Vertrag er dem Parlament nun vorlegt. Weshalb? Blocher: Es zeigt sich nun, dass bereits bei den bilateralen Verträgen Land- und Luftverkehr hätten gekoppelt werden sollen. Wir haben das immer gefordert. Und man hat es auch versprochen. Beim Landverkehr ist man dem Ausland sehr entgegen gekommen, dafür hätte man beim Luftverkehr etwas erhalten. Deutschland kann uns doch nicht den ganzen Dreck des Lastwagen-Transitverkehrs geben und gleichzeitig sagen: "Aber der Flugverkehr kommt nicht zu uns." Leuenberger hat im April viel zu weich verhandelt. Er hat bei den Eckwerten nachgegeben, daran ändert sein nachträgliches Insistieren, das erst auf Druck der Öffentlichkeit zustande kam, nichts. Nachgeben am Anfang ist Gift für jede Verhandlung. Sie lehnen den Vertrag ab. Mit welchen Konsequenzen rechnen Sie, wenn Ihnen das Parlament folgen sollte? Blocher: Der Bundesrat sagt: Lieber einen schlechten Vertrag als gar keinen. Was ist denn dies für eine Alternative? Es gäbe ja auch noch einen guten Vertrag statt gar keinen! Die Frage nach den Konsequenzen bleibt. Blocher: Wenn das Parlament den Vertrag ablehnt, wird nochmals verhandelt, oder Deutschland setzt einseitig eine Verordnung in Kraft. Sollte Letzteres geschehen, müsste dies angefochten werden. Dann schauen wir mal, was diese Verordnung rechtlich wert ist. Sollte die Schweiz im Rechtsstreit unterliegen, müsste sie Gegenmassnahmen im Strassenverkehr treffen. Die Schweiz muss endlich Gegenpositionen entwerfen und ihre eigenen Interessen wahren. Wie könnten solche Gegenmassnahmen aussehen? Blocher: Genau dies muss der Bundesrat nun prüfen und vorbereiten. Möglichkeiten gibt es viele: Wir könnten die ganze 40-Tonner-Geschichte in Frage stellen, die Verträge sind ja in der EU noch nicht ratifiziert. Wir haben ein Lastwagenkontingent, da lässt sich viel machen. Verträge bestehen schliesslich immer aus Geben und Nehmen. Sie wollen also Deutschland beispielsweise sagen, jetzt dürften keine deutschen Lastwagen mehr durch unser Land fahren? Blocher: Ich bin nicht für einen Landverkehrs- und Luftverkehrskrieg. Aber für den Fall der Fälle sollte sich der Bundesrat entsprechend vorbereiten. Wenn Deutschland sagt: "Wir haben nicht gern Fluglärm", dann entgegnen wir, dass wir nicht gern Strassenverkehrslärm haben, und präsentieren entsprechende Massnahmen. Ich glaube nicht, dass sich Deutschland auf einen solchen Streit einlassen würde. Das mächtige Land wird innerhalb der EU genau beobachtet, wie es mit den Kleinen umgeht. Deutschland könnte sich einen ernsthaften Streit mit der Schweiz so wenig leisten wie umgekehrt. Stellen Sie sich vor, die Situation wäre umgekehrt: 90 Prozent der Flugzeuge würden im Tiefflug über die Schweiz einen benachbarten Flughafen Deutschlands anfliegen. Würden wir nicht auch reklamieren? Blocher: Natürlich, aber es kommt schon auf die genaue Situation an. Die jetzige Situation ist so, dass die Anflüge auf Kloten über wenig besiedeltes Gebiet erfolgen. In Süddeutschland sind viel weniger Personen vom Lärm betroffen, als wenn plötzlich über die Agglomeration Zürich geflogen wird. Es ist doch nicht einsehbar, weshalb das geändert werden soll. Deutschland versucht hier ganz einfach, Sonderrechte für sich in Anspruch zu nehmen. Bei den deutschen Flughäfen gelten offenbar noch ganz andere Massstäbe. Und es ist ja nicht so, dass wir den Flugverkehr willkürlich über Deutschland abwickeln, obwohl dort viel mehr Leute betroffen wären als bei uns. So etwas wäre in der Tat ungerecht. Dem ist aber nicht so. Wird das Parlament den Staatsvertrag ablehnen? Blocher: Ich befürchte, dass der Vertrag im Parlament angenommen wird. Aus Mangel an Durchsetzungskraft werden die Interessen des eigenen Staates preisgegeben. Was halten Sie von der Politik der Flughafendirektion, die Kloten als Hub definiert, also als Drehscheibe für Transitpassagiere? Blocher: Vom Flughafen her ist dies verständlich. Doch das Volk muss sich nun die Frage stellen: "Welchen Flughafen wollen wir?" Meine Antwort lautet: Wir wollen einen Flughafen, der unserer Volkswirtschaft dient. Das heisst, wir wollen gute Flugverbindungen von und nach Zürich. Das Hub-Konzept ist aber volkswirtschaftlich fragwürdig. Es ist geprägt von dem verfehlten und jetzt auch gescheiterten Swissair-Konzept. Das Konzept der Grösse ist gestorben, also müssen wir darauf keine Rücksicht mehr nehmen. Heute wird das Hub-Konzept im Interesse der Flughafen-Auslastung aufrechterhalten. Doch dies allein kann nicht entscheidend sein. Die Volkswirtschaft als Ganzes zählt. Welche Rolle spielt bei Ihrer Beurteilung die Meinung des Volks? Blocher: Ich glaube nicht, dass das Volk einen Flughafen will, in dem Zehntausende von Transitpassagieren landen, nur um umzusteigen und wieder davonzufliegen. Die gehen ja nicht in die Stadt und konsumieren etwas. Von den Transitpassagieren haben wir volkswirtschaftlich wenig. Die Bevölkerung hat die Belastung und einen zu kleinen Nutzen. Wie weit sollte der Flughafen Rücksicht auf die Bevölkerung nehmen? Blocher: Der Flughafen kann auf Dauer keine Politik betreiben, die vom Volk nicht akzeptiert wird. Das ist in der Industrie genau dasselbe. Wenn ich auf die Idee käme, im Kanton Graubünden eine riesige Raffinerie zu bauen, direkt neben der Stadt Chur, könnte ich dies auch nicht tun. Ganz einfach deshalb, weil die Bevölkerung dies nicht will. Der Flughafen investiert jetzt für den Ausbau über zwei Milliarden Franken. Er kann wohl nicht so einfach zurück. Blocher: Sollte sich die Investition als Fehlinvestition erweisen, dann ist es halt eine. Ich habe in meinem Unternehmen auch schon Fehlinvestitionen gemacht (lacht). Diese musste ich dann halt tragen und anderswo wieder wettmachen. Herr Blocher, wir danken Ihnen für das Gespräch.

09.09.2001

Strikte gegen Staatshilfe

Interview mit der SonntagsZeitung vom 9. September 2001 Christoph Blocher über die Sanierung der Swissair Interview: Arthur Rutishauser Christoph Blocher, was muss nach Ihrer Meinung geschehen, damit die Swissair wieder auf die Beine kommt? Christoph Blocher: Nun müssen die Banken eine Sanierung durchführen wie seinerzeit in der Uhrenindustrie. Was bedeutet das? Blocher: Eine Umwandlung von Schulden in Eigenkapital. Also ein Schuldenverzicht und eine Aufstockung des Eigenkapitals. Warum sollten sie das tun? Blocher: Aus der gleichen Motivation wie bei der Uhrenindustrie. Damals verzichtete man auch auf viel Geld, im Nachhinein stellte sich das aber als sehr lohnendes Geschäft für die Banken heraus. Gelegentlich wird auch gefordert, der Staat, das heisst die beteiligten Kantone und der Bund, sollten der Not leidenden Airline unter die Arme greifen. Blocher: Da bin ich strikte dagegen. Nur schon die Diskussion zeigt, dass man vielmehr die Swissair-Aktien schon viel früher hätte verkaufen sollen. Könnten Sie sich eine Bürgschaft des Bundes für die Swissair vorstellen? Blocher: Nein, denn das käme letztlich auf dasselbe heraus wie ein Kredit. Und wie steht es bei einer Kapitalerhöhung - soll da der Staat mitziehen? Blocher: Da würde es sich wohl nicht vermeiden lassen, dass Bund und Kantone mitmachen. Wenn es der Swissair aber wieder besser geht, sollte man die Aktien so schnell wie möglich verkaufen. Kann es sich denn die Schweiz leisten, auf eine nationale Airline zu verzichten? Blocher: Das ist keine nationale Airline, das ist eine private Fluggesellschaft, die so wie alle anderen Unternehmen selbst für ihr Überleben sorgt. Sonst züchten wir eine Subventionswirtschaft heran. Trotzdem, ohne Fluggesellschaft befürchtet die Wirtschaft Nachteile für den Standort Schweiz. Blocher: Wir brauchen für die Wirtschaft keine Swissair, sondern gute Flugverbindungen ab Zürich. Und die können auch ausländische Airlines erbringen. Ich sehe jedenfalls keinen Notstand, der eine Staatsintervention rechtfertigen würde. Glauben Sie, dass eine eventuelle Übernahme der Swissair noch einen nationalen Aufschrei verursachen würde? Blocher: Nein, warum? Immerhin kam es Anfang der Neunzigerjahre zu einer grossen Kampagne, als versucht wurde, die Swissair mit der holländischen KLM und der skandinavischen SAS zu fusionieren. Blocher: Da haben all die Hiobsbotschaften aus Kloten die Emotionen sicher beruhigt. Heute wäre wohl jeder froh, das Problem Swissair wäre gelöst. Sind für Sie die Sanierungsmassnahmen, die Swissair-Chef Mario Corti bisher einleitete, genügend? Blocher: Bei Sanierungen in dieser Grössenordnung darf man meiner Ansicht nach nicht zu zögerlich vorgehen. Da braucht es wohl eher den Vorschlaghammer. Vor allem, weil wohl noch viel mehr getan werden muss, als bisher bekannt ist. Glauben Sie, dass die Möglichkeit besteht, dass die Swissair Konkurs geht? Blocher: Nein, denn da ist viel zu viel Schweizer Wirtschaftsprominenz involviert. Die wird alles tun, um einen Konkurs zu vermeiden. Denn sonst müsste sie mit Prozessen der Geschädigten rechnen. Das ist ganz klar.

01.08.2001

«Innert 48 Stunden habe ich zugeschlagen»

Der Unternehmer und Politiker über seine jüngsten Firmenkäufe und über seinen Konjunkturpessimismus. Interview mit der BILANZ vom August 2001 von Martin Schläpfer und Medard Meier Mit Axantis und Netstal haben Sie zwei Firmen gekauft, die Sie schon lange im Visier hatten. Schliesst sich damit Ihr unternehmerischer Lebenskreis? Christoph Blocher: Nein, meine unternehmerische Tätigkeit hat viel Intuitives an sich. Bis jetzt habe ich nur Firmen gekauft, denen es schlecht ging. So seinerzeit die ehemalige Ems, dann Togo und Dottikon. Aber sie mussten zu Ems passen, und wir müssen sie führen können. Axantis befand sich in einer Notsituation. Die Firma in die Gewinnzone zu bringen, ist die Herausforderung. Ob es gelingt, weiss ich noch nicht. Ich habe Freude daran, Unternehmen, die am Boden sind, zum Erfolg zu führen. Bei Netstal war ich als Verwaltungsrat und später als Präsident dabei, als man das praktisch konkursreife Unternehmen retten musste. Dank seiner Unabhängigkeit ist es gelungen. Diese war jedoch erneut gefährdet, als die Firma von einem Finanzinvestor übernommen wurde. Netstal brauchte einen Unternehmer. Innert 48 Stunden habe ich zugeschlagen. Und sogar die Arbeiter haben Ihnen gedankt. Blocher: Ja. Arbeiter und Besitzer bilden eben eine Einheit; das sollte die Linke einmal zur Kenntnis nehmen. Arbeiter wollen Arbeitsplätze. Ist der Unternehmer tüchtig, stossen sie sich nicht an seinem Reichtum. Sie wissen: Es gibt nichts Traurigeres als einen armen Unternehmer. Mit Netstal haben Sie ausnahmsweise eine Perle erworben. Blocher: Ja, sie war auch entsprechend teuer. Ich kenne die Firma, ihre Strategie und das Management: Das Risiko ist folglich limitiert. Während der Mannesmann-Ära bin ich ja aus dem Netstal-Verwaltungsrat geflogen, weil ich konsequent für die Eigenständigkeit gekämpft habe. Im Rückblick war jener Kampf das Wichtigste für die Firma. Hat die Spritzgussmaschinenherstellerin eine optimale Grösse? Blocher: Auf jeden Fall ist sie gross genug, um führend zu sein und einen besonderen Kundenservice zu bieten. Das Management unter Dieter Klug, dem tüchtigen Geschäftsführer, glaubt an die Firma und ihre Grösse. Streben Sie neben Ems und Netstal ein drittes Bein an? Blocher: Nein, ich muss jetzt die beiden Übernahmen bewältigen. Axantis ist ein Turnaround. Die Firma wäre heute bereits in Konkurs, wenn Herr Model sie übernommen hätte. Der Zellstoffbereich ist extrem konjunkturanfällig; im Moment steckt die Papierbranche in einem Tief. Die neuen Produkte sind noch ungewiss. Ihr Stern scheint am Schweizer Wirtschaftsfirmament umso heller, je mehr andere verblassen. Swissair lässt grüssen. Blocher: Jeder Unternehmer hat auch Misserfolge zu verkraften. Auch ich habe Fehlinvestitionen und Fehleinkäufe getätigt. Das hat man von aussen nur nicht so wahrgenommen. Wogegen ich antrete: Wenn ein Missmanagement toleriert wird, weil die Verantwortlichen einem Beziehungsnetz angehören und man sich gegenseitig protegiert, wie dies zum Beispiel bei Swissair, Sulzer, Von Roll, Biberist und Calida der Fall war. Wie fähig sind denn unsere Manager? Blocher: Wenn ich die Gesamtwirtschaft betrachte, so ist unser Management insgesamt tüchtig. Es gibt aber noch verfilzte Strukturen. Die Protegierereien schaden der Wirtschaft und der Politik. Ihre Attacken zielen immer auf den Freisinn. Blocher: Weil es dort am schlimmsten ist. Wir Bürgerlichen vertreten Freiheit und Selbstverantwortung. Wenn die Freisinnigen wegen dieses Gedankenguts angeschossen werden, ducken sie sich, weil sie im beruflichen Bereich versagen. Bei den Wirtschaftsverbänden herrschen ähnliche Zustände: Sie haben sich nicht mehr energisch für die Ordnungspolitik eingesetzt. Der damalige Vorort bezeichnete den Bau von zwei Neat-Röhren als wirtschaftlichen Unsinn. Als es zur Abstimmung kam, wurde die geplante Nein-Kampagne eingestampft, und die Wirtschaft plädierte für ein Ja. Die bestehende Verkehrsmisere haben Freisinn und Vorort mitzuverantworten. Der Vorort ist Ihnen ein Dorn im Auge, weil er die Öffnung der Schweiz forciert. Doch steuerpolitisch liegt er voll auf Ihrer Linie. Blocher: Steuerpolitisch jetzt endlich. Aber es ist schon seltsam, dass ich während vier Jahren ein Steuerkonzept vertreten musste, bis Economiesuisse eingeschwenkt ist. Die Verbände müssten vorausmarschieren und uns Politiker mit ihren liberalen Forderungen antreiben und nicht umgekehrt. Das hängt damit zusammen, dass die Verbände zu stark mit den staatlichen Strukturen verhängt sind. Würde man sie am besten gleich ganz abschaffen? Blocher: Warum nicht? Sie haben eben eine andere Bedeutung erhalten. Wegen der zunehmenden Verbandelung von Staat und Wirtschaft müssen sie einerseits mit staatlichen Behörden Kompromisse schliessen. Andererseits sollten sie eine saubere Ordnungspolitik betreiben und gegen ihre Politfreunde im Staate antreten. Das braucht viel Kraft. Aus Rücksicht auf Ihre strukturkonservative Basis halten Sie sich bei der unpopulären Liberalisierungspolitik auffallend zurück. So lehnen Sie das neue Elektrizitätsmarkt-Gesetz ab. Blocher: Aus zwei Gründen. Die Liberalisierung, also tiefere Preise, muss erstens sofort allen zugute kommen. Und zweitens lautet mein Kredo: Wenn ein Monopol nicht verhindert werden kann, so ist mir ein staatliches lieber als ein privates. Denn staatliche Monopole sind wenigstens demokratisch kontrolliert, private führen zur Abzockerei. Ich kämpfte bei den Bürgerlichen ohne Erfolg für eine staatliche Netzgesellschaft, da bei der Stromdurchleitung keine Konkurrenz möglich ist. So war ich auch für eine staatliche Börse. Mit dem neuen Börsengesetz wurde der Wettbewerb ausgeschlossen. Jetzt können nicht zuletzt die Grossbanken ihre Sonderinteressen durchsetzen. Wer bestimmt etwa die Zusammensetzung des SMI? Sie sind erbost, weil der Ems-Titel eliminiert wurde. Blocher: Nein, das ist vertretbar. Die Frage ist nur, weshalb Sulzer Medica und Swissair noch drin sind und wer die Zusammensetzung des SMI bestimmt. Gibt es eigentlich ein geschütztes Recht, oder ist es Willkür eines Monopolisten? Gemeinsam mit der Linken opponieren Sie gegen die Privatisierung der Zürcher Kantonalbank. Blocher: Vor 20 Jahren war ich für eine Privatisierung. Damals gab es noch zahlreiche Kreditbanken. Heute bin ich dagegen, weil die privatisierte Bank früher oder später von einer Grossbank geschluckt würde. Dies hätte zur Folge, dass der Kreditmarkt eingeengt würde. Die Gründung der Kantonalbank war ja kein sozialistischer Akt. Damals funktionierte die Kreditversorgung nicht, deshalb hat man sie gegründet. Heute wäre es ähnlich. Haben Sie mit dem Staat Frieden geschlossen? Ihre Kritik an der Classe politique ist praktisch verstummt. Blocher: Jede Zeit hat ihre Probleme. Ich verteufle den Staat nicht, nur seine Allmacht. Bei den Steuersenkungen haben wir endlich den Widerstand gebrochen. Jetzt reden alle davon. Deshalb gehe ich einen Schritt weiter. Im Kanton Zürich und später beim Bund wollen wir den ganzen Wust von Gebühren und Abgaben überprüfen. Von den Gesamteinnahmen des Kantons Zürich machen Gebühren und Abgaben immerhin 60 Prozent aus. Der neue FDP-Präsident, Gerold Bührer, hat Sie mit seiner Tiefsteuerpolitik dazu gezwungen. Blocher: Das Beste ist, wenn eine andere Partei die Forderungen übernimmt. Es freut mich, dass die Freisinnigen die erfolgreiche SVP-Politik betreiben wollen. Nur: Wenn die Linke bei Wahlen wieder Erfolg haben sollte, wird der Freisinn wieder das Gegenteil vertreten. Er hat ja auch während zehn Jahren behauptet, es sei nicht so schlimm, die Steuern dauernd zu erhöhen. Sie warnen schon lange vor einer Rezession. Jetzt scheint Ihnen die Entwicklung Recht zu geben. Blocher: Ja, in der Regel bin ich mit meinen Prognosen den Konjunkturinstituten um ein bis zwei Jahre voraus. Mitte 2000 haben noch alle wegen meiner Einschätzung den Kopf geschüttelt. Jetzt kommt der Abschwung sogar noch etwas früher, als ich befürchtet habe. Ems spürt die Rezession in den USA. Japans Situation ist konfus. Europa wird nachziehen, wobei die Handlungsunfähigkeit der Europäischen Zentralbank die Situation noch verschlimmert. Jetzt kommt die Fehlerhaftigkeit der Euro-Konstruktion zum Vorschein: Deutschland braucht eine Zinssenkung, die Südstaaten das Gegenteil, und die Notenbank kann es nicht allen Recht machen, sodass sich die Rezession im wichtigsten Industriestaat Deutschland verschärft. Kann sich die Schweizer Wirtschaft dem Abwärtssog entziehen? Blocher: Die Schweiz hat im Wesentlichen keinen eigenen Konjunkturzyklus. Wir sind von den Exportmärkten abhängig. Ich habe noch keine Anzeichen dafür, ob es eine lange oder eine kurze Rezession gibt. Sicher ist nur, dass es sie geben wird. Der Papiermarkt etwa ist dramatisch eingebrochen, dies erlebe ich bei Attisholz. Aber auch die Entwicklung bei den Inseraten und den Autos weisen darauf hin. Ich bin aber optimistisch: Wir werden die Rezession gut überstehen, weil wir vorbereitet sind.