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Independence

08.01.2002

Chi d’altri può fermare i tiranni e i terroristi?

«Svizzera oltre» del 8 gennaio 2002 Deve la Svizzera aderire all'ONU? Quali sono i motivi sostenuti dai fautori e quali le riserve formulate dagli oppositori? "Svizzera oltre" ha invitato a un dibattito quattro personalità politiche che presentano i rispettivi punti di vista.   Dibattito moderato da Patrick Feuz     Signor Blocher, che cosa ha mai la Svizzera di tanto strano per essere l'unico Stato, con il Vaticano, a restare fuori dall'ONU?   Christoph Blocher: La Svizzera è nell'ONU quasi dappertutto. Versa 500 milioni di franchi all'anno: una grossa somma se paragonata a quella di altri paesi. Ma vi è una cosa che la Svizzera non ha finora fatto: firmare un documento in virtù del quale il Consiglio di sicurezza dell'ONU può obbligare la Svizzera ad adottare misure economiche, politiche e addirittura militari contro altri paesi. Ciò sarebbe contrario alla nostra neutralità che è integrale, scevra da ogni alleanza e permanente; non è dunque applicabile di caso in caso come, per esempio, in Svezia. Ogni Stato ha la sua particolarità. La neutralità è la nostra particolarità. Non dobbiamo sacrificare questo strumento. La neutralità ha aiutato il nostro Paese, sebbene al centro dei più gravi conflitti a causa della sua situazione geografica, a tenersi in disparte dalla guerra per un periodo di 200 anni. Pochi paesi possono vantare un simile bilancio di pace. I conflitti continuano. Alla fine, ogni paese non può che contare su sé stesso.   Bruno Frick: Oggi non vi è più alcun motivo per non aderire all'ONU. Il signor Blocher lo ha affermato: siamo presenti in tutte le sotto-organizzazioni e in quasi tutti i Fondi dell'ONU. Si tratta adesso di compiere l'ultimo piccolo passo per essere membro a parte intera. In questo caso potremo partecipare alle decisioni alla stregua di Appenzello e Uri che sono membri della Svizzera e possono far sentire la loro voce. L'ONU è l'unica organizzazione veramente universale che cerca di risolvere i problemi globali dell'umanità.   Christoph Mörgeli: La nostra visione della Svizzera è diversa, più ambiziosa. Noi non vogliamo semplicemente fare come gli altri, sotto la minaccia psicologica di un gruppo. Vogliamo restare più liberali, più indipendenti e più democratici degli altri. Vogliamo essere un modello e non un riflesso. Chi si trova in fuori gioco? È il nostro Paese che, in tutte le classifiche, figura in prima posizione per quel che concerne il diritto d'essere consultato, il pieno impiego e il sentimento di appagamento? No. I nostri cittadini aperti al mondo non si trovano in fuori gioco. Coloro che invece lo sono, sono il Governo, il Parlamento e l'amministrazione che vogliono ad ogni costo avere voce in capitolo in seno all'ONU. Questa non è la politica estera ch'era stata voluta inizialmente. La neutralità ha pure quale obiettivo di lasciare i cittadini liberi di decidere. Essi non vogliono che il Governo parli a loro nome. Orbene, prima di votare all'Assemblea generale dell'ONU, il Governo non chiederebbe il loro parere.   Alois Riklin: Il suo concetto di governo è contrario alla Costituzione federale. La stessa afferma che il Governo non soltanto deve eseguire, ma anche dirigere, ossia pianificare, proporre e informare. Lei vuol fare del Consiglio federale una sorta di eunuco politico. Se il Consiglio federale fosse puntualmente costretto a chiedere al popolo ciò che deve dire, dovremmo tornare a una democrazia arcaica, come esisteva ad Atene. Ma torniamo alla domanda iniziale: gli elementi essenziali della nostra identità - la democrazia semi-diretta, di milizia, il federalismo, il multiculturalismo, la neutralità, la concordanza - non sono toccati dall'adesione all'ONU. Quali membri dell'ONU, possiamo conservare la nostra neutralità.   Signor Mörgeli, all'indomani degli attentati terroristici contro gli Stati Uniti, lei ha dichiarato che aderendo all'ONU la Svizzera introduce la guerra nel Paese. Lei condivide ancora questa dichiarazione, per numerose persone difficile da capire?   Mörgeli: Ma certamente. Un piccolo Stato liberale non deve impegnarsi in una grande formazione, nella quale la forza primeggia sul diritto. E all'ONU la forza ha la precedenza sul diritto visto che nel Consiglio di sicurezza i cinque membri permanenti godono di un diritto speciale: il veto. I Grandi possono calpestare il diritto; i Piccoli devono chinare il capo. In veste di membri a parte intera, saremmo costretti a partecipare alle sanzioni economiche, a fare la guerra, a permettere il passaggio agli eserciti stranieri, a interrompere il traffico ferro-viario, aereo e la navigazione, a tagliare i collegamenti postali, telegrafici e radio, nonché a rompere le relazioni diplomatiche. Se la Svizzera vuole veramente entrare nell'ONU, in seguito non potrà più uscirne, ma dovrà partecipare ai conflitti. In questo modo si attirerà l'odio di certi paesi e popoli, provocando infine nel paese insoddisfazione e terrorismo.   Riklin: Signor Mörgeli, lei dice che se la Svizzera non fa parte dell'ONU non deve temere gli attentati terroristici. Ma il terrorismo non tiene affatto in considerazione la neutralità degli Stati. A Nuova York sono periti anche degli Svizzeri. A Luxor, le vittime erano in gran parte Svizzeri. E gli aerei di Swissair non sono stati risparmiati dai dirottamenti. Uno Stato non può combattere da solo il terrorismo. Solo un'organizzazione internazio-nale ha la possibilità di riuscirvi.   Blocher: Il terrore è pure alimentato dai conflitti di potere internazionali. I terroristi non sono assassini isolati che chiedono soldi. Essi rappresentano comunità di Stati e gruppi etnici. Ogni paese è dapprima tenuto a controllare che non capiti nulla sul suo territorio. Un tempo, gli stranieri non avevano il diritto di esercitare attività politiche in Svizzera. Oggi, in nome della cosiddetta apertura al mondo, siamo divenuti troppo lassisti. E ora ne paghiamo le conseguenze. Signor Frick, lei non ci ha aiutati quando chiedevamo di porre fine in Svizzera alle manovre politiche che incoraggiavano il terrorismo. In Svizzera si sostiene l'UCK. Nel nostro Paese terroristi pronunciano discorsi del 1. l'agosto. Signor Frick, lei vuole aderire a Schengen, anche questo accordo favorisce il terrorismo. Ma ciò che so-prattutto m'inquieta e che lei vuole firmare la Carta dell'ONU, un documento che ci obbliga a prendere sanzioni contro altri paesi, come l'embargo sui generi alimentari che riduce intere popolazioni alla fame.   Riklin: Per quel che concerne il diritto di veto delle grandi potenze, tengo a sottolineare che, in vasti settori dell' ONU politica, non è applicato. La Corte penale internazionale è istituita sebbene gli Stati Uniti non vi partecipino. Il divieto delle mine antiuomo sarà proclamato senza che gli Stati Uniti lo abbiano firmato. Non vi è diritto di veto contro le Convenzioni dell'ONU. In merito alle sanzioni militari ed economiche, ricordo che l'articolo 25 della Carta prevede che gli Stati membri devono applicare le decisioni del Consiglio di sicurezza "conformemente alla Carta". Orbene, al capitolo 7 - articolo 43 - concernente le sanzioni, si può leggere che i membri partecipano a queste misure sulla base di accordi speciali negoziati. Il negoziato prevede la possibilità di dire No. In altre parole, se gli Stati membri sono obbligati a negoziare, non sono tenuti a partecipare alle sanzioni militari. Ogni Stato membro è libero e sovrano. Nessun Stato è finora stato costretto a partecipare ad azioni militari.   Blocher: In virtù dell'articolo 41, il Consiglio di sicurezza può prendere sanzioni politiche ed economiche contro paesi. In questo caso non si citano accordi speciali che permetterebbero di non prendervi parte. Orbene, le sanzioni economiche e politiche sono so-vente più crudeli.   Mörgeli: Ancora nel 1981, il Consiglio federale aveva rilevato che, a causa delle sanzioni militari previste all'articolo 43, l'adesione della Svizzera all'ONU non era compatibile con la neutralità. Da allora, la Carta dell'ONU non è stata cambiata di una virgola. Ma a quanto pare l'interpretazione della neutralità da parte del Consiglio federale.   Frick: A nessuno è vietato d'essere più chiaroveggente. Ma vorrei spendere ancora una parola sul diritto di veto che lei cita tanto volentieri. Si può pure considerare il diritto di veto come un elemento positivo: offre una duplice garanzia, prima che si decretino provvedimenti contro uno Stato. Sia le grandi potenze che l'Assemblea generale devono pronunciarsi. Per ridurre il rischio di guerra, il diritto di veto garantisce che le grandi potenze siano poste in inoranza. All'Assemblea generale, ogni Stato membro dispone di un voto. Ciò significa che Andorra, con i suoi 15000 abitanti, ha lo stesso peso degli Stati Uniti che ne contano 250 milioni. Si tratta della democrazia spinta al parossismo.   Signor Mörgeli, la Svizzera ha compiuto un errore partecipando al boicottaggio economico decretato contro Milosevic e Saddam Hussein?   Mörgeli: L'atteggiamento del Consiglio federale non era comprensibile per la popolazione. Il Governo ha concesso il diritto di sorvolare il nostro territorio durante la guerra del Golfo, ma non lo ha fatto in quella del Kosovo. Inoltre, le sanzioni economiche non colpivano i despoti, bensì la popolazione già povera.   Riklin: La guerra del Kosovo era una guerra della NATO, mentre quella del Golfo è stata condotta sulla base di una decisione dell'ONU. Ma per favore, risponda alla domanda: non avremmo dovuto partecipare alle sanzioni economiche contro il criminale Saddam Hussein? Dovevamo, quale unico paese, continuare a concludere affari con il criminale Milosevic?   Mörgeli: Nel 1945, l'ONU ha accolto il criminale Stalin e la sua Unione sovietica quale "Stato pacifico". Già a quel momento è iniziata l'ipocrisia. Dal 1945, i membri dell'ONU hanno combattuto centinaia di guerre. Nei confronti di Hussein e di Milosevic avremmo dovuto praticare il cosiddetto courant normal, al posto di sostenere misure che riducono il popolo alla carestia. Il courant normal non significa approfittare di una situazione di guerra.   Riklin: Parlando di ridurre la popolazione alla fame, lei fa propaganda irachena. È noto da tempo che le sanzioni non differenziate sono inique, poiché colpiscono solo i più poveri tra i poveri. Oggi, si dà la priorità alle cosiddette smart sanctions. Si tratta, per esempio, di bloccare i conti dei dirigenti stranieri nelle banche svizzere. Nel caso dell'Iraq, con il programma "Petrolio contro cibo" si è scelta una procedura particolare. Se la stessa funziona male è soprattutto dovuto al fatto che Hussein non vi è interessato. La sorte del popolino non gli importa. Blocher: succede la stessa cosa per qualsiasi embargo sui generi alimentari. Le sanzioni economiche colpiscono sempre i più deboli e i più poveri. In qualità di membro dell'ONU, la Svizzera dovrebbe sostenere le sanzioni economiche, differenziate o meno che siano.   Frick: Come intende condurre alla ragione un regime che semina il terrore? Si deve immediatamente dichiarare la guerra? O si deve semplicemente lasciar fare? Come deve comportarsi il mondo per impedire a un Milosevic di calpestare i diritti dell'uomo e di commettere un genocidio?   Mörgeli: La stragrande maggioranza dei membri dell'ONU non rispetta i diritti dell'uomo più fondamentali. Gli esseri umani sono torturati, non hanno alcuna libertà politica, alla stampa è posta la museruola, i bambini vengono sfruttati e le donne oppresse.   Frick: Rispondete alla mia domanda: come condurre alla ragione un tiranno come Milosevic?   Blocher: Quale piccolo Stato, noi dobbiamo chiederci ciò che possiamo fare. Anche le grandi potenze non lo sanno. Dobbiamo fare in modo che il nostro Stato non sia coinvolto e fornire un aiuto manitario.   Frick: Per me, la questione della neutralità non era determinante nel 1986. Ritenevo che l'ONU fosse inefficace per risolvere i problemi di un mondo bipolare. Ritenevo anche che la Svizzera potesse fornire un miglior contributo alla pace stando al di fuori dell'ONU e dei blocchi. Il mondo bipolare si è disintegrato e la situazione è ora completamente diversa, anche per la Svizzera. Già allora il diritto della neutralità avrebbe permesso l'adesione. Un cambiamento si è invece svolto nella politica di neutralità. Dal 1990, noi partecipiamo a tutte le sanzioni economiche dell'ONU. Anche se il signor Blocher sostiene il contrario, i mezzi economici sono sempre meno impietosi die mezzi militari.   Blocher: La neutralità è uno strumento che sta molto a cuore al popolo svizzero. La neutralità significa non prendere posizione, non schierarsi nei conflitti, non immi-schiarsi. Per essere credibile, essa dev'essere sempre applicata. Essa è molto esigente. Tuttavia, chiunque se ne serva attivamente può fungere da mediatore nei conflitti. Per un governo che si vergogna della neutralità del proprio paese, l'operazione risulta ovviamente più difficile. Noi dovremmo essere neutrali in modo coerente e utilizzare maggiormente la nostra situazione particolare nell'interesse della comunità dei popoli.   Riklin: Lei definisce la neutralità come il non schieramento nei conflitti internazionali. Questo concetto della neutralità è contrario al diritto internazionale pubblico e alla politica sin qui condotta dal Consiglio federale. Noi abbiamo preso posizione quando le truppe del Patto di Varsavia invasero la Cecoslovacchia. Abbiamo pure preso posizione in occasione della rivoluzione ungherese. Ci siamo schierati contro la politica dell'apartheid nel Sudafrica. Nel diritto internazionale pubblico, la neutralità è la non partecipazione di uno Stato alle guerre tra altre Nazioni. Per sapere concretamente cosa ciò significa, occorre risalire alla Convenzione dell'Aja del 1907 concernente la guerra su terra, al diritto usuale dei popoli e, infine, alla politica di neutralità della Svizzera. La neutralità permanente armata non è un impegno per un'imparzialità assoluta. Proprio anche nei confronti dell'ONU, quale rappresentante della comunità degli Stati, non vi è neutralità.   Mörgeli: Attualmente, un solo Stato ha la supremazia nel mondo. Questa superiorità non è compatibile con la sicurezza collettiva così com'è pretesa dall'ONU. Infatti l'ONU non ha truppe proprie. Per fare la guerra è necessario l'intervento degli Stati Uniti e dei loro alleati. Ma nessun Stato non ha ancora fatto la guerra per permettere al diritto di trionfare. Se un paese si lancia in una guerra è sempre perché i suoi interessi lo esigono. Orbene, gli interessi degli Stati Uniti non sono necessariamente i nostri. Un atteggiamento di sottomissione a questa potenza mondiale non è sinonimo di moralità, tutt'al più di opportunismo.   Frick: Non si può parlare di sottomissione. Se Consiglio federale e Parlamento auspicano l'entrata della Svizzera all'ONU è perché sono convinti di certi valori. Vogliamo pronunciarci sulle violazioni dei diritti dell'uomo e rifiutiamo semplicemente di accettare le ingiustizie.   Mörgeli: Il nostro Stato non è un'istituzione morale; esiste unicamente per creare e difendere il diritto. È un'associazione puramente utilitaria che non può pretendere d'essere il tutore morale dei cittadini. Forgiare un ideale e realizzarlo non è mai stato compito di uno Stato di diritto liberale. È unicamente compito di ogni essere umano.   Frick: Anche uno Stato deve agire seguendo principi etici. La politica estera della Svizzera ha il compito di difendere i nostri interessi materiali e spirituali. Per fortuna, la nostra Costituzione federale offre più di una mera base materiale. Possiede anche una base spirituale nella misura in cui essa intende salvaguardare la coesione della comunità della Svizzera e guidarla verso il futuro.   Il signor Blocher vede un potenziale per la Svizzera in qualità di attore di politica estera fuori dall'ONU. Esiste questo potenziale?   Ricklin: Anch'io ritengo che la Svizzera possa, fuori dall'ONU, fare ancora di più rispetto ad oggi. Ma essa può fare almeno ltrettanto in qualità di membro dell'ONU. La Norvegia, per esempio, ha funto da mediatrice tra i Palestinesi e Israele. In Iraq, la Svizzera, nonostante la sua partecipazione alle sanzioni economiche, fornisce un aiuto umanitario nell'ambito del programma alimentare mondiale dell'ONU e attraverso il finanziamento di azioni del CICR.   Blocher: Resto sulle mie posizioni: un paese che è fuori dall'ONU e la cui neutralità è riconosciuta può svolgere un ruolo particolare nei conflitti tra il Consiglio di sicurezza e i vari Stati.   ***   Christoph Blocher, imprenditore e consigliere nazionale UDC, capofila degli oppositori all'adesione della Svizzera all'ONU.   Bruno Frick, avvocato e consigliere agli Stati PPD, presidente fino alla fine del 2001 della Commissione di politica estera della Camera alta.   Christoph Mörgeli, professore incaricato di storia della medicina all'Università di Zurigo e consigliere nazionale UDC.   Alois Riklin, coeditore del "Neues Handbuch der schweizerischen Aussenpolitik", professore di scienze politiche all'Università di San Gallo e direttore dell'Istituto di scienze politiche (fino all'estate 2001).

08.01.2002

«Meine fünf Gründe gegen den Uno-Beitritt»

Artikel im Blick vom 8. Januar 2001 Einer gegen alle! SVP-Nationalrat Christoph Blocher lässt die Katze aus dem Sack. 55 Tage vor der Uno-Abstimmung verrät er, wie er die Schlacht vom 3. März gewinnen will: mit den erfolgreichen fünf Haupt-Argumenten der Uno-Nein-Kampagne von 1986. Von Georges Wüthrich Blochers Grund 1: Neutralität wird unglaubwürdig «Die Schweiz verliert sehr viel. Der Beitritt zur politischen Uno macht unsere Neutralität unglaubwürdig. So wird die Schweiz in internationale Konflikte hineingezogen. Das Problem ist nicht die Generalversammlung, sondern der Sicherheitsrat, der uns neutralitätswidrige aussenpolitische Verpflichtungen auferlegen kann. Der Verlust der immerwährenden, bewaffneten und umfassenden Neutralität bringt uns weniger Sicherheit. Die schweizerische Neutralität ist nicht zu vergleichen mit der Neutralität anderer Staaten, beispielsweise Finnlands oder Schwedens, die nur eine Neutralität von Fall zu Fall kennen.» Blochers Grund 2: Spielball der Grossmächte «Die Schweiz hat nichts zu suchen in einer Organisation, in der die fünf Grossmächte ein Vetorecht besitzen. Sie können für uns Verpflichtungen beschliessen, die wir in ihrem Dienst durchführen müssen. Sie nehmen sich das Recht heraus, Staaten das Brot wegzunehmen, die ihnen nicht in den Kram passen. Unrecht, das im Einflussgebiet der fünf Grossmächte geschieht, wird auf der anderen Seite prompt nicht sanktioniert. Die Schweiz darf da um keinen Preis mitmachen. Wir dürfen nicht zum Spielball der Grossmächte werden.» Blochers Grund 3: Ein Fass ohne Boden «Ein Beitritt zur politischen Uno wird zum Fass ohne Boden. Er käme uns ausserordentlich teuer zu stehen. Wir bezahlen heute schon 500 Millionen Franken für die nicht politischen Unterorganisationen. Wenn wir beitreten, kommen nochmals 75 Millionen für die politische Administration dazu. Doch das ist noch lange nicht alles. Wir werden zahlen müssen für so genannte friedenssichernde Massnahmen, für Tribunale und Kampagnen. Jetzt empfiehlt die Uno auch noch, 0,7 Prozent des Bruttosozialproduktes pro Land für die Entwicklungshilfe auszugeben. Bei einem Beitritt ist der Druck gewaltig, diese Empfehlung zu befolgen, was uns 1,6 Milliarden Franken kostet.» Blochers Grund 4: Der Volkswille wird ausgeschaltet «Wenn die Schweiz beitritt, tritt sie auch bei, um in der Uno Recht zu schaffen. Dieses Recht steht dann über unserem Recht. Diplomaten fassen eigenmächtig Beschlüsse ohne Volksabstimmung. Der Volkswille wird ausgeschaltet. Damit werden unsere Freiheit, unsere Souveränität und unser Selbstbestimmungsrecht verletzt. Bundesrat Deiss legt besonderen Wert auf die Schaffung eines solchen Rechts, das über unserer Bundesverfassung steht. Das ist demokratisch bedenklich.» Blochers Grund 5: Die Schweiz ist nicht mehr die Schweiz «Die grosse Stärke der Schweiz war bis jetzt immer, dass sie weltoffen war, ohne sich einbinden zu lassen. Kooperation statt Integration - das ist die Erfolgsgeschichte der Schweiz. Wir sind nicht mehr frei, uns für unser Land einsetzen zu können. Eine Schweiz ohne Neutralität ist nicht mehr die Schweiz: Der eigenständige Weg des neutralen, direktdemokratischen Kleinstaates Schweiz nützt uns und der Welt mehr, als auch noch dabei zu sein und mitzuschwimmen im Strom von 190 Staaten.»

08.01.2002

«Ja, wir wollen gewinnen, aber…»

Uno-Beitritt Interview mit der Berner Zeitung vom 8. Januar 2002 Für den UNO-Beitritt eine provokative Kampagne zu fahren sei nicht notwendig, ist Blocher überzeugt. Einer Niederlage sieht er gelassen entgegen, denn davon könnte die SVP fast noch mehr profitieren. Interview: Gregor Poletti Ihre UNO-Kampagne kommt im Vergleich etwa zu derjenigen gegen die Militärvorlagen schon fast brav daher. Ist Ihnen der Biss abhanden gekommen? Christoph Blocher: Die Kampagne zu den Militärvorlagen im vergangenen Jahr war ja auch nicht aggressiv, aber sie provozierte. Aber heute haben wir ganz andere Voraussetzungen: Die Grundstimmung in der Bevölkerung ist bereits gegen einen UNO-Beitritt der Schweiz. Also müssen wir nicht mehr provozieren, sondern unsere Argumente darlegen und veranschaulichen. Und das haben wir sehr schön gemacht: Mit einer Axt wird auf ein bewährtes Instrument, die Neutralität, eingehauen. Also haben Sie doch die Lehre gezogen, dass martialische Plakate nicht unbedingt gut ankommen. Blocher: Nein. Bei der Revision des Militärgesetzes war es notwendig und richtig zu provozieren, weil unsere Gegner über den wahren Inhalt der Vorlage nicht diskutieren wollten. Aber den Zweihänder haben Sie noch im Hosensack, den Sie kurz vor dem Urnengang noch zücken könnten? Blocher: Bei der UNO-Abstimmung brauchen wir keinen Zweihänder, auch nicht in letzter Minute. Aber wir rechnen damit, dass die andere Seite, insbesondere der Bundesrat, versuchen wird, uns zu diskreditieren und als politisch nicht salonfähig darzustellen. Das hat er ja bereits auf eklatante Art und Weise bei den Militärvorlagen getan. Denn es geht am 3. März nicht nur um den UNO-Beitritt, sondern auch um eine innenpolitische Abrechnung mit uns. Sie setzen ebenfalls wie bei den Militärvorlagen voll auf die angebliche Verletzung der Neutralität. Ist diese Argumentation nicht zu schwach, zumal Sie damit nur die Isolationisten erreichen, welche knapp 30 Prozent der Bevölkerung ausmachen? Blocher: Dem Schweizervolk ist Neutralität sehr wichtig. Mischt euch nicht in fremde Händel. Zudem ist die offensichtliche Missachtung der Neutralität bei deranstehenden Abstimmung einfacher nachzuvollziehen als bei den Militärvorlagen: Denn die Schweizer merken, dass hier ein Vertrag unterschrieben wird, der uns Verpflichtungen wie Boykotte oder Hungersperren auferlegen kann, die uns aussenpolitisch in grosse Turbulenzen bringen könnten. Zudem ist es für einen Schweizer doch unerträglich, dass den Grossmächten mit dem Veto ein Sonderrecht zur Verfügung steht. Kein anderes Argument, das gegen einen UNO-Beitritt spricht? Blocher: Die Verletzung der Neutralität ist das Hauptargument und das stärkste zugleich. Dass ein Beitritt in finanzieller Hinsicht zudem ein Fass ohne Boden ist, vertritt das Komitee der Steuerzahler gegen den UNO-Beitritt. Weiter darf man nicht ausser Acht lassen, dass bei einem Beitritt Diplomaten und Funktionäre unser Recht brechendes Völkerrecht definieren könnten, ohne dass sie dauernd das Volk im Nacken hätten. Das Volk würde damit ein weiteres Mal ausgehebelt. Wie wird die Abstimmungsschlacht entschieden? Blocher: Wir setzen vor allem auf das Ständemehr. Dies aus zwei Gründen: Erstens ist die Zeit bis zum 3. März sehr kurz bemessen, und zweitens sind wir im Gegensatz zu den Befürwortern finanziell nicht so gut ausgestattet, dass wir die ganze Schweiz flächendeckend beackern könnten. Wir werden uns auf Schlüsselkantone wie beispielsweise Aargau, Luzern oder St. Gallen konzentrieren. Werden Sie in Ihr eigenes Portemonnaie greifen, um den Abstimmungskampf zu unterstützen? Blocher: Selbstverständlich. Wie gross ist dieses Engagement? Blocher: Wenn etwas fehlt, bin ich zur Stelle. Sie können mich am 4. März noch einmal fragen. Resultiert der doch eher zurückhaltende Abstimmungskampf nicht auch aus der Einsicht, dass die SVP bei einem Ja mehr als bei einem Nein profitieren könnte? Blocher: Nein, wir wollen gewinnen. Aber selbstverständlich würde die SVP bei einem Ja auch gewaltig profitieren, denn die kommenden Jahre würden aufzeigen, wie die Schweiz und ihre Interessen von der UNO dauernd überrollt würden. Aber wir schauen ja nicht darauf, was unserer Partei am meisten nützt, sondern unserem Land. Aber selbst die SVP ist gespalten in der UNO-Beitrittsfrage. Blocher: Die SVP ist keine geschlossene Viererkolonne. Im Parlament stimmten aber lediglich rund 20 Prozent unserer Partei für einen Beitritt. Und es gibt immer jemanden, der ausschert. Das stört mich nicht besonders, ausser Politiker machten dies lediglich zur Profilierung ihrer eigenen Person. Wird der UNO-Beitritt abgelehnt, ist Aussenminister Joseph Deiss dann für die Schweiz noch tragbar? Blocher: Dann muss sich Bundesrat Joseph Deiss klar und unmissverständlich hinter das Resultat stellen und die Unabhängigkeit und Neutralität endlich ernst nehmen. Kann er dies nicht, müsste er eigentlich konsequenterweise zurücktreten.

08.01.2002

Wer sonst kann Tyrannen und Terroristen stoppen?

Streitgespräch im EDA-Magazin "Schweiz global" vom 8. Januar 2002 Die Schweiz sei "freiheitlicher, unabhängiger und demokratischer" als der Rest der Welt und dürfe deshalb nicht in die Uno, sagen die SVP-Nationalräte Christoph Blocher und Christoph Mörgeli. CVP-Ständerat Bruno Frick und Politologieprofessor Alois Riklin kontern, "die wesentlichen Elemente unseres Selbstverständnisses" seien durch den Beitritt nicht in Gefahr. Gespräch: Patrick Feuz Herr Blocher, was macht die Schweiz so speziell, dass sie nebst dem Vatikan der einzige Staat ausserhalb der Uno bleiben soll? Christoph Blocher: Die Schweiz ist in der Uno fast überall dabei. Sie bezahlt 500 Millionen Franken im Jahr, ein grosser Beitrag im Vergleich zu anderen Ländern. Aber eines hat die Schweiz bisher nicht getan: einen Vertrag unterschrieben, wonach der Uno-Sicherheitsrat die Schweiz verpflichten kann, gegen andere Länder wirtschaftliche, politische und sogar kriegerische Massnahmen zu ergreifen. Das widerspricht unserer Neutralität, die integral, bündnisfrei und dauernd ist und nicht von Fall zu Fall gilt wie etwa in Schweden. Alle Staaten haben ihre Besonderheit. Die Neutralität ist unsere Besonderheit. Wir sollten dieses Instrument nicht preisgeben. Sie hat mitgeholfen, unser Land 200 Jahre lang aus dem Krieg herauszuhalten. Es gibt wenige Länder, die eine solche Friedensbilanz vorweisen können, obwohl die Schweiz mitten im Weltgetümmel schwerster Auseinandersetzungen gestanden ist. Die Auseinandersetzungen gehen weiter. Jedes Land ist letztlich auf sich allein gestellt. Bruno Frick: Es gibt heute keinen Grund mehr, weshalb die Schweiz der Uno nicht beitreten sollte. Herr Blocher hat es gesagt: Wir sind in allen Unterorganisationen und in fast allen Uno-Fonds dabei. Nun geht es noch um den kleinen Schritt zur Vollmitgliedschaft. Dann sind wir ein vollwertiges Mitglied, das mitentscheiden kann - genau wie Appenzell und Uri Mitglieder der Schweiz sind und hier ihre Stimme einbringen können. Die Uno ist die einzige weltumspannende Organisation, die die globalen Probleme der Menschen zu lösen sucht. Christoph Mörgeli: Unsere Vision der Schweiz ist eine andere, eine ehrgeizigere. Wir wollen nicht einfach in einem psychologischen Gruppenzwang dasselbe tun wie alle Übrigen. Wir wollen freiheitlicher, unabhängiger und direktdemokratischer bleiben als die anderen. Wir wollen ein Vorbild sein, nicht ein Abbild. Wer steht abseits? Ist es unser Land, das in allen Rankings an der Spitze steht punkto Mitspracherecht, Vollbeschäftigung und Zufriedenheit? Nein. Unsere weltoffenen Bürgerinnen und Bürger stehen nicht abseits. Abseits stehen Regierung, Parlament und Verwaltung, die unbedingt in der Uno mitreden wollen. Das ist keine originelle Aussenpolitik. Die Neutralität hat auch das Ziel, dass die Bürger in ihrem Urteil frei bleiben. Sie wollen nicht, dass die Regierung für sie spricht. Diese würde das Volk vor der Stimmabgabe in der Uno-Vollversammlung nicht um die Meinung fragen. Alois Riklin: Ihr Regierungsverständnis widerspricht der Bundesverfassung. Diese besagt, dass die Regierung nicht nur ausführen, sondern auch leiten, das heisst planen, vorschlagen, überzeugen und informieren soll. Sie wollen den Bundesrat zum politischen Eunuchen machen. Wir müssten zu einer Versammlungsdemokratie à la Athen zurückkehren, wenn der Bundesrat das Volk immer fragen müsste, was er sagen darf. Zurück zur Ausgangsfrage: Die wesentlichen Elemente unseres Selbstverständnisses - die halbdirekte Demokratie, die Milizdemokratie, der Föderalismus, die Multikulturalität, die Neutralität, die Konkordanz - sind durch den Uno-Beitritt nicht betroffen. Unsere Neutralität können wir als Uno-Mitglied aufrechterhalten. Herr Mörgeli, Sie haben am Tag nach den Terroranschlägen gegen die USA gesagt, mit dem Uno-Beitritt hole die Schweiz den Krieg ins Land. Stehen Sie immer noch zu dieser für viele Leute schwer nachvollziehbaren Aussage? Mörgeli: Selbstverständlich. Ein freiheitlicher Kleinstaat darf sich nicht in ein Grossgebilde einbinden lassen, wo Macht vor Recht kommt. Macht kommt in der Uno vor Recht, weil im Sicherheitsrat die fünf ständigen Mitglieder Sonderrecht geniessen und ein Veto einlegen können. Die Grossen können das Recht brechen, die Kleinen müssen sich peinlich daran halten. Als Vollmitglied wären wir verpflichtet, uns an Wirtschaftssanktionen zu beteiligen, Krieg zu führen, fremden Armeen Durchmarsch zu gewähren, Eisenbahn-, See- und Luftverkehr zu unterbrechen, Post-, Telegrafen- und Funkverbindungen zu kappen und diplomatische Beziehungen abzubrechen. Wenn die Schweiz wirklich in die Uno will, kann sie später nicht ausscheren, sondern muss in Konflikten Partei ergreifen. Damit zögen wir aber den Hass gewisser Länder und Völker auf uns und holten letztlich Unfrieden und Terrorismus ins Land. Riklin: Herr Mörgeli, Sie sagen: Wenn die Schweiz nicht in der Uno ist, hat sie keine Terroranschläge zu befürchten. Aber der Terrorismus nimmt keine Rücksicht auf neutrale Staaten. In New York sind auch Schweizer gestorben. In Luxor waren die Opfer vor allem Schweizer. Auch Swissair-Flugzeuge wurden entführt. Ein Staat allein kann den Terrorismus nicht bekämpfen. Nur eine internationale Organisation hat hier eine Chance. Blocher: Der Terror wird auch gefördert durch die internationalen Machtauseinandersetzungen. Terroristen sind nicht ein paar Einzelmörder, die Geld wollen. Sie vertreten Staatengemeinschaften und ethnische Gruppierungen. Jedes Land soll zuerst dafür sorgen, dass auf seinem Gebiet nichts passiert. Früher waren in der Schweiz politische Aktivitäten von Ausländern verboten. Heute sind wir im Namen der so genannten Weltoffenheit viel zu large. Jetzt haben wir den Salat. Herr Frick, Sie haben nicht mitgeholfen, als wir verlangt haben, in der Schweiz politische Umtriebe zu unterbinden, die den Terrorismus fördern. In der Schweiz wird die UCK gefördert. Terroristen halten in unserem Land 1.-Mai-Reden. Herr Frick, Sie wollen nach Schengen. Auch dieses Vertragswerk fördert den Terrorimus. Vor allem aber wollen Sie mit der Uno-Charta einen Vertrag unterzeichnen, der uns zu Sanktionen gegen andere Staaten verpflichtet, etwa zur Brotsperre, mit der ganze Bevölkerungen ausgehungert werden. Riklin: Zum Vetorecht der Grossmächte: In weiten Bereichen der politischen Uno gilt das Vetorecht nicht. Der internationale Strafgerichtshof wird geschaffen, obwohl die USA nicht mitmachen. Das Verbot der Personenminen kommt, obwohl die USA nicht mitmachen. Gegen die Uno-Konventionen gibt es kein Vetorecht. Zu den militärischen und wirtschaftlichen Sanktionen: In Artikel 25 der Charta steht, dass die Mitgliedstaaten die Entscheide des Sicherheitsrats "im Rahmen der Charta" umsetzen müssen. In Kapitel 7, wo es um die Sanktionen geht, ist unter Artikel 43 nachzulesen, dass sich die Mitglieder gestützt auf "Sonderabkommen" an diesen Massnahmen beteiligen. Diese Abkommen entstehen "im Verhandlungswege". Verhandeln beinhaltet die Freiheit, Nein zu sagen. Anders ausgedrückt: Die Mitgliedstaaten sind verpflichtet zu verhandeln, nicht aber verpflichtet, an den militärischen Sanktionen teilzunehmen. Jeder Mitgliedstaat ist frei und souverän. Kein einziger Staat wurde bisher gezwungen, sich an militärischen Aktionen zu beteiligen. Blocher: Der Sicherheitsrat kann laut Artikel 41 gegen Länder politische und wirtschaftliche Sanktionen ergreifen. Hier steht nichts von "Sonderabkommen", die eine Nichtteilnahme erlauben. Wirtschaftliche und politische Massnahmen sind aber oft die grausamsten. Mörgeli: Noch 1981 hat der Bundesrat festgehalten, wegen der militärischen Sanktionen in Artikel 43 sei der Uno-Beitritt der Schweiz mit der Neutralität nicht vereinbar. Die Uno-Charta hat sich um keinen Buchstaben geändert. Aber offenbar die Neutralitätsauffassung des Bundesrats. Frick: Es ist niemandem verboten, klüger zu werden. Aber noch ein Wort zum Vetorecht, das Sie so gern erwähnen. Man kann dem Vetorecht auch Positives abgewinnen: Es gibt eine doppelte Sicherung, bevor Massnahmen gegen einen Staat verfügt werden. Sowohl die Grossmächte wie die Vollversammlung müssen zustimmen. Das Vetorecht ist eine Garantie, dass die Grossmächte nicht überstimmt werden und dadurch zusätzliche Kriegsgefahr entsteht. In der Vollversammlung hat jeder Mitgliedstaat eine Stimme. Andorra mit 15000 Einwohnern wiegt gleich viel wie die USA mit 250 Millionen Einwohnern. Das ist urdemokratisch. Herr Mörgeli, war es falsch, dass sich die Schweiz am Wirtschaftsboykott gegen Milosevic und Saddam Hussein beteiligt hat? Mörgeli: Das Verhalten des Bundesrats war für die Bevölkerung nicht nachvollziehbar. Im Golfkrieg gewährte er Überflugrechte, im Kosovo-Krieg nicht. Und die Wirtschaftssanktionen trafen nicht die Despoten, sondern die arme Bevölkerung. Riklin: Der Kosovo-Krieg war ein Nato-Krieg, der Golfkrieg fand aufgrund eines Uno-Beschlusses statt. Aber beantworten Sie bitte die Frage: Hätten wir uns an den Wirtschaftssanktionen gegen den Massenmörder Saddam Hussein nicht beteiligen sollen? Hätten wir als einziges Land Geschäfte mit dem Massenmörder Milosevic betreiben sollen? Mörgeli: Die Uno hat 1945 Massenmörder Stalin und seine Sowjetunion als "friedliebenden Staat" aufgenommen. Da beginnt die Heuchelei schon. Uno-Mitglieder haben seit 1945 Hunderte von Kriegen geführt. Wir hätten gegenüber Hussein und Milosevic den so genannten "courant normal" praktizieren sollen, statt Massnahmen zu unterstützen, die das Volk aushungern. "Courant normal" bedeutet nicht, von der Kriegssituation zu profitieren. Riklin: Sie betreiben irakische Propaganda, wenn Sie von Aushungern reden. Das Problem ist längst erkannt, dass undifferenzierte Sanktionen falsch sind und nur die Ärmsten der Armen treffen. Heute stehen so genannte "smart sanctions" im Vordergrund. Zum Beispiel werden die Konten ausländischer Machthaber auf Schweizer Banken blockiert. Im Fall Iraks wurde mit dem Programm Öl gegen Nahrung ein Sonderverfahren gewählt. Wenn dieses schlecht funktioniert, dann vor allem deswegen, weil Hussein nicht daran interessiert ist. Ihm geht es nicht um das einfache Volk. Blocher: Das ist bei jeder Brotsperre so. Wirtschaftssanktionen treffen immer die Schwächsten und Ärmsten. Als Uno-Mitglied müsste die Schweiz Wirtschaftssanktionen mittragen, egal ob sie differenziert oder undifferenziert sind. Frick: Wie wollen Sie ein Terrorregime zur Vernunft bringen? Soll man sofort einen Krieg eröffnen? Oder soll man ein solches Regime einfach gewähren lassen? Wie soll die Welt vorgehen, damit ein Milosevic die Menschenrechte nicht mit Füssen tritt und keinen Genozid begeht? Mörgeli: Die allermeisten Uno-Mitglieder respektieren die grundlegendsten Menschenrechte nicht. Menschen werden gefoltert, politisch unfrei gehalten, die Presse wird geknebelt, Kinder werden ausgebeutet, Frauen unterdrückt. Frick: Beantworten Sie meine Frage: Wie soll ein Tyrann wie Milosevic zur Vernunft gebracht werden? Blocher: Als Kleinstaat haben wir zu fragen: Was können wir tun? Die Grossmächte wissen es auch nicht. Wir haben dafür zu sorgen, dass unser Staat nicht beteiligt wird, und daneben humanitäre Hilfe zu leisten. Herr Blocher und Herr Mörgeli bringen immer wieder die Neutralität ins Spiel. Sie meinen nicht die gleiche Neutralität wie die Uno-Befürworter. Herr Frick, helfen Sie uns: 1986 waren Sie gegen den Uno-Beitritt, auch aus Sorge um die Neutralität. Heute sind Sie dafür und sehen kein Problem für die Neutralität. Frick: Die Neutralitätsfrage war für mich 1986 nicht entscheidend. Ich fand, die Uno sei ineffizient, die Probleme der bipolaren Welt zu lösen. Ich war auch der Meinung, die Schweiz könnte ausserhalb der Uno und der Blöcke einen besseren Beitrag zum Frieden leisten. Die bipolare Welt ist zerfallen, und die Situation ist auch für die Schweiz eine ganz andere. Das Neutralitätsrecht hätte den Beitritt schon damals erlaubt. Ein Wandel hat hingegen in der Neutralitätspolitik stattgefunden. Wir beteiligen uns seit 1990 an allen Wirtschaftssanktionen der Uno. Auch wenn Herr Blocher das Gegenteil behauptet: Wirtschaftliche Mittel sind immer schonungsvoller als kriegerische. Blocher: Die Neutralität ist ein Instrument, das dem Schweizervolk sehr am Herzen liegt. Neutralität heisst: Nichtparteinahme, nicht Partei nehmen in Konflikten, sich nicht einmischen. Sie ist nur glaubwürdig, wenn sie immer gilt. Sie ist sehr anspruchsvoll. Wer sie aktiv nutzt, kann in Auseinandersetzungen vermitteln. Einer Regierung, die sich für die Neutralität ihres Landes schämt, fällt dies natürlich schwer. Wir sollten konsequent neutral sein und unsere Sonderstellung im Interesse der Völkergemeinschaft verstärkt nutzen. Riklin: Sie definieren Neutralität als Nichtparteinahme in internationalen Konflikten. Dieses Neutralitätsverständnis widerspricht dem Völkerrecht und der bisherigen Politik des Bundesrats. Wir haben Partei ergriffen, als der Warschauer Pakt in der Tschechoslowakei einmarschierte. Wir haben Partei ergriffen zur Ungarnrevolution. Wir haben Partei ergriffen gegen die Apartheidpolitik in Südafrika. Völkerrechtlich heisst Neutralität Nichtbeteiligung an Kriegen anderer Staaten. Was das konkret bedeutet, ist in der Haager Landkriegsordnung von 1907, im Völkergewohnheitsrecht und nicht zuletzt auch durch Neutralitätspolitik der Schweiz definiert. Die dauernde, bewaffnete Neutralität verpflichtet nicht zur absoluten Unparteilichkeit. Gerade auch gegenüber der Uno als Vertreterin der Staatengemeinschaft gibt es keine Neutralität. Mörgeli: Heute haben wir in der Welt die Vorherrschaft eines einzelnen Staates. Diese Übermacht ist mit der kollektiven Sicherheit, wie sie die Uno fordert, nicht vereinbar. Die Uno hat keine eigenen Truppen. Wenn sie Krieg führt, ist sie auf die USA und deren Verbündete angewiesen. Aber kein Staat hat je Krieg geführt, um dem Recht zum Durchbruch zu verhelfen, sondern immer, weil seine Interessen es gebieten. Die Interessen der USA sind nicht unbedingt unsere Interessen. Eine Unterwerfungshaltung unter diese eine Weltmacht ist nicht moralisch, sondern höchstens opportunistisch. Frick: Von Unterwerfung kann keine Rede sein. Bundesrat und Parlament wollen der Uno beitreten, weil sie von gewissen Werten überzeugt sind. Wir wollen uns äussern zu Menschenrechtsverletzungen und wollen Ungerechtigkeiten nicht einfach hinnehmen. Mörgeli: Unser Staat ist keine Institution der Moral, sondern ausschliesslich eine zur Rechtsschöpfung und Rechtswahrung. Er ist ein reiner Zweckverband und darf nicht als moralischer Vormund der Bürgerinnen und Bürger auftreten. Ideale zu bilden und zu verwirklichen ist nie Sache eines freiheitlichen Rechtsstaats, sondern allein der einzelnen Menschen. Frick: Auch ein Staat soll nach ethischen Grundsätzen handeln. Aufgabe der schweizerischen Aussenpolitik ist die Wahrung unserer materiellen und ideellen Interessen. Unsere Bundesverfassung bietet zum Glück mehr als eine bloss materielle Grundlage. Sie ist auch ein ideelles Fundament, indem sie die Gemeinschaft Schweiz zusammenhalten und in die Zukunft führen will. Herr Blocher sieht ein Potenzial für die Schweiz als aussenpolitischer Akteur ausserhalb der Uno. Gibt es dieses Potenzial? Riklin: Ich finde auch, dass die Schweiz ausserhalb der Uno mehr tun könnte als bisher. Aber sie kann mindestens so viel als Uno-Mitglied tun. Norwegen etwa hat zwischen den Palästinensern und Israel vermittelt. In Irak leistet die Schweiz trotz Teilnahme an den Wirtschaftssanktionen humanitäre Hilfe im Rahmen des Uno-Welternährungsprogramms und durch die Mitfinanzierung von IKRK-Aktionen. Blocher: Ich bleibe dabei: Ein Land, das ausserhalb der Uno ist und als neutral empfunden wird, kann in Auseinandersetzungen zwischen dem Sicherheitsrat und einzelnen Staaten eine besondere Rolle spielen. *** Christoph Blocher, Unternehmer und SVP-Nationalrat, Anführer der Opposition gegen den Schweizer UNO-Beitritt Bruno Frick, Rechtsanwalt und CVP-Ständerat, bis Ende 2001 Präsident der aussenpolitischen Kommission der kleinen Kammer Christoph Mörgeli, Privatdozent für Medizingeschichte an der Universität Zürich und SVP-Nationalrat Alois Riklin, Mitherausgeber des "Neuen Handbuchs der schweizerischen Aussenpolitik", Professor für Politische Wissenschaften an der Hochschule St. Gallen und Leiter des Instituts für Politikwissenschaft (bis Sommer 2001)

03.01.2002

«Herr Blocher, soll sich die Schweiz künftig gar nirgends mehr engagieren?»

Interview mit den Obersee Nachrichten vom 3. Januar 2002 Christoph Blocher und die SVP kämpfen als einzige Bundesratspartei gegen einen Uno-Beitritt. Am 9. Januar findet im Hotel "Kreuz" in Jona eine SVP-Drei-Kantone-Veranstaltung statt, bei der Christoph Blocher die Besucher einmal mehr beschwört, warum man für Neutralität, Selbstbestimmungsrecht und Unabhängigkeit der Schweiz einzustehen hat. Aber er weiss auch, dass die Propaganda auf der Uno-Befürworter-Seite ganz massiv sein wird. Verena Schoder Herr Blocher, die CVP Bezirk See hatte Sie für ein Podiumsgespräch nach Jona eingeladen - mit Erika Forster, FDP, Eugen David, CVP, und Paul Rechsteiner, SP. Sie und Nationalrat Toni Brunner haben beide abgesagt. Warum sind Sie dieser Kontroverse um einen Uno-Beitritt ausgewichen? Christoph Blocher: Ich habe der CVP schriftlich zugesagt, dass wir bereit seien, an einem kontradiktorischen Gespräch in Jona teilzunehmen. Voraussetzung sei aber eine ausgewogene Gesprächsrunde, das heisst je zwei Befürworter und zwei Gegner. Leider wollten die Befürworter aber unbedingt ein Übergewicht haben, nämlich drei Befürworter gegen zuerst einen, dann allenfalls gegen zwei Gegner. Diese ungleiche Behandlung kann ja nicht akzeptiert werden, deshalb gibt es nun bedauerlicherweise zwei Veranstaltungen, eine dafür und eine dagegen. Die SVP ist ja auch als einzige Bundesratspartei gegen einen Uno-Vollbeitritt. Sind Sie auf einen harten Abstimmungskampf vorbereitet? Blocher: Dass die SVP die einzige Bundesratspartei ist, die für das Selbstbestimmungsrecht, die Unabhängigkeit und die Neutralität der Schweiz eintritt, ist ja nicht neu. Schon bei der letzten Uno-Abstimmung war die SVP allein gegen den Beitritt. Das Schweizervolk und sämtliche Kantone haben sich dann klar der SVP angeschlossen und Nein zum Uno-Beitritt gesagt, sie haben sich also für die Unabhängigkeit und die Neutralität der Schweiz ausgesprochen. Dies war übrigens auch beim EWR so. Alle anderen Parteien, der Bundesrat und alle Verbände haben massiv für den EWR-Beitritt gekämpft. Wir waren allein dagegen. Das Schweizervolk und die Mehrheit der Kantone hat einen EWR-Beitritt abgelehnt. Als einzige Bundesratspartei ist die SVP auch gegen den EU-Beitritt - aber auf der Seite des Volkes. Der Bundesrat und die politischen Träger der Kantone wollen Überzeugungsarbeit leisten, viele Institutionen sind im Vorbereitungskampf. Was ist Ihre Motivation, gegen so viele Gegner anzutreten? Blocher: Man hat zur Schweiz und zu ihren Besonderheiten zu stehen. Dazu gehört eben auch eine glaubwürdige Neutralität. Die Schweiz soll nicht zum Spielball der Grossmächte werden. Der Uno-Beitritt würde uns den Grossmächten, die über ein Vetorecht im Sicherheitsrat verfügen, preisgeben. Diese könnten von uns Boykotte und Massnahmen nicht militärischer und militärischer Art gegen andere Länder verlangen. Ich hoffe sehr, dass das Schweizervolk, wie in den letzten Jahren bei der Uno-, der EWR- und der EU-Abstimmung, auch am 2./3. März den Beitritt zur politischen Uno klar ablehnen wird. Was passiert mit der Schweiz bei einem Ja? Blocher: Würden wir der Uno beitreten, so hätten die Schweizer einmal mehr viel zu bezahlen und viel zu verlieren. Es geht um den Beitritt der Schweiz zur politischen Uno. Bei allen anderen Uno-Organisationen, wo es um humanitäre, wirtschaftliche, Bildungs-, Umwelt- und Flüchtlings-Anliegen geht, sind wir ja längst dabei. Wir müssten uns dem von den Grossmächten dominierten Sicherheitsrat unterwerfen. Dies widerspricht der Neutralität. Wir hätten auch viel zu bezahlen. Das Schweizervolk hätte aber weniger zu sagen, denn in der Uno-Generalversammlung bestimmt ja nicht das Volk, dort bestimmen einzelne Diplomaten und schweizerische Politiker. Das so beschlossene Völkerrecht geht unserem Landesrecht vor, ohne dass das Schweizervolk noch etwas zu sagen hätte. Was passiert mit der Schweiz bei einem Nein? Blocher: Bei einem Nein würden unsere Neutralität und Unabhängigkeit gewahrt. Wir könnten uns in den nicht politischen Belangen der Uno voll entfalten. Aber in die politische Uno würden wir nicht einbezogen. Wir könnten auch unsere humanitären Dienste dort verwirklichen, wo es die anderen Länder wegen Parteinahme nicht tun können. Das ist das Wirkungsfeld eines wirklich neutralen Staates. Wir könnten weltoffen sein, ohne in die Grossmachtpolitik einbezogen zu werden. Die Uno-Befürworter werfen der SVP vor, dass es ihr beim Nein nur um das Sparen geht. Die SVP wolle einmal mehr die Zitrone bis auf den letzten Tropfen ausdrücken. Was entgegnen Sie dem? Blocher: Es geht nicht nur, aber auch um die Kosten. Wir bezahlen bereits heute 470 Mio. Franken pro Jahr an die Uno. Ein Beitritt in die politische Uno kostet weitere 75 Millionen. Dies allein für die Verwaltung. Wir hätten uns aber auch in Zukunft an den hohen Kosten für vielerlei Sonderaktionen der Uno zu beteiligen. Eine Kommission der Uno fordert auch von den Mitgliederstaaten eine weit höhere Entwicklungshilfe von 0,7 Prozent des Bruttosozialproduktes. Der Druck, dass wir dies erfüllen, würde massiv zunehmen. Das würde dann 1,6 Milliarden ausmachen. Und das, obwohl wir bereits jährlich 0,5 Milliarden an die Unterorganisationen bezahlen. Aber der wesentliche Punkt ist, dass die Schweiz eine ihrer grossen Stärken, nämlich die dauernde bewaffnete Neutralität, verlieren würde. Dank dieser Neutralität hat unser Land während 200 Jahren keinen Krieg mehr erlebt. Das können nicht viele Länder sagen. Einen solchen Wert gibt man doch nicht preis. Wenn die Schweiz doch schon so lange Uno-Beiträge bezahlt, wäre es doch nur logisch, dass sie fürs Bezahlen auch endlich mitreden kann. Blocher: Dort, wo die Schweiz bei den Unterorganisationen bezahlt, dort redet sie auch mit. Wir sind Mitglied der Unesco, der Welternährungsorganisation, der Flüchtlingsorganisation usw. Neutralitätspolitisch ist dies auch auch nicht bedenklich, weil es dort nicht um politische Belange geht, also nicht um Sanktionen gegen andere Länder, um andere Länder zu unterdrücken oder zu bekämpfen. Heisst das, die Schweiz soll sich künftig gar nirgends mehr engagieren? Blocher: Doch - aber dort, wo es eben nur ein streng Neutraler kann. Nämlich dort, wo alle anderen Länder Partei sind. Dies hat sich in der Geschichte bewährt und wird sich auch in schwerwiegenden Konflikten weiter bewähren. So sind das Rote Kreuz und das Katastrophenhilfskorps entstanden. Voraussetzung aber ist, dass wir nicht in Bündnisse oder Organisationen eintreten, welche uns dieser Neutralität berauben. Die Uno hat die Neutralität der Mitgliederstaaten ausdrücklich anerkannt. Warum also diese diffuse Angst streuen? Blocher: Ich weiss nicht, von welcher ausdrücklichen Anerkennung der Neutralität Sie hier sprechen. Im Vertrag, den wir unterschreiben steht nichts von dem. Tatsache ist, dass ein Neutralitätsvorbehalt, der die Schweiz von Wirtschaftsboykotten, Unterbrechung von Beziehungen, Abbruch von diplomatischen Beziehungen, Truppeneinsatz usw. befreit hätte, weil das mit der Neutralität nicht zu vereinbaren ist, von Bundesrat und Parlament abgelehnt worden ist. Der Bundesrat sagt, man könne dies nicht tun, sonst würde man den Eindruck erwecken, dass man den Vertrag - die Uno-Charta - nicht erfüllen möchte. Der jetzige Beitritt der Schweiz zur Uno sieht keinen Neutralitäts-Vorbehalt vor, weil man die Neutralität nicht wahren will. Herr Blocher, Ihre Prognose zur Uno-Abstimmung vom März? Blocher: Ich glaube, dass auch diesmal die Mehrheit einen Uno-Beitritt ablehnen wird. Ich bin mir aber bewusst, dass die Propaganda auf der Befürworterseite ganz massiv sein wird. Die gleichen Kreise, die die Swissair ruiniert haben, werden Millionen für diese Abstimmung ausgeben. Zudem hat der Bundesrat 2 Millionen Franken Steuergelder bewilligt, um den Abstimmungskampf zu führen. Wir Steuerzahler bezahlen dies.