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Economy

15.02.2002

L’adesione della Svizzera sarebbe utile solo ai funzionari, ai diplomatici e ai politici

«La RegioneTicino» del 15 febbraio 2002   Per il tribuno zurighese una sconfitta sull'Onu non intaccherebbe la forza dell'UDC Blocher: abbiamo già vinto di Silvano De Pietro   Quali sono le priorità nel futuro della Svizzera?   Chrisoph Blocher: Che nel nostro paese vi sia la piena occupazione; e che possiamo conservare la libertà e l'autodeterminazione.   E l'entrata nell'ONU non è una prtiorità?   Blocher: No. È il contrario.   Perché?   Blocher: Se entriamo nell'ONU, vuol dire che ci lasceremo tranquillamente comandare dall'estero, cioè dal Consiglio di sicurezza dell'ONU, che è competente per le questioni di guerra nel mondo e ci può obbligare a prendere parte a tali guerre. E noi questo non lo vogliamo, poiché uno dei nostri principî è la neutralità. Noi siamo a fianco dell'ONU ovunque si tratta di questioni umanitarie, di profughi, di economia, di clima; ma mai quando si tratta di guerra, cioè nei suoi organismi più potenti.   Ma tutti gli altri stati neutrali aderiscono all'ONU senza alcun problema.   Blocher: In primo luogo, in tutti questi stati il popolo non ha mai potuto votare: hanno deciso il governo e il parlamento. Nel nostro paese decide il popolo; e il popolo è in maggioranza interessato a non entrare nell'ONU. In secondo luogo, esiste al mondo soltanto un paese che ha una neutralità più ampia di quella svizzera. All'Austria venne imposta; ma poi ha dovuto sacrificarla: non si poteva stare nella NATO e nell'ONU e, nello stesso tempo, essere neutrali.   Però, solo come membri dell'ONU, possiamo continuare ad essere neutrali.   Blocher: No, non possiamo più esserlo. Perché firmiamo un accordo nel quale si dice che il Consiglio di sicurezza può obbligare uno stato membro a procedere contro un altro stato con embarghi, blocchi dei viveri, sospensioni di forniture elettriche, interruzioni di relazioni diplomatiche, e così via. In questi casi non potremo più decidere da soli: vi saremo obbligati. Sottoscriviamo persino un vincolo a mettere a disposizione truppe ed a concedere diritti di attraversamento. È previsto che questo vincolo sia oggetto di un accordo speciale; ma tale accordo speciale concerne soltanto i dettagli tecnici. La pressione invece sarebbe enorme. E non si potrà decidere liberamente.   L'ONU agisce tuttavia per proteggere i diritti umani, per prestare aiuto in caso di catastrofi, per lottare contro la povertà, per garantire la pace, eccetera. Questi obiettivi dell'ONU non sono gli stessi della Svizzera?   Blocher: Ovunque si tratti di ciò che lei ha citato, noi ci siamo. Dialoghiamo con le organizzazioni che combattono la povertà e prestano aiuti; decidiamo con loro; e paghiamo, anche. Già oggi versiamo 500 milioni di franchi. L'intenzione però non basta: non ho ancora visto un conflitto in cui le due parti sostengono di farsi la guerra perché vogliono la pace. L'ONU afferma di essere una comunità pacifica, ma ci sono quaranta guerre in corso tra membri dell'ONU.   Restando fuori, comunque, non potremo mai influire sulle scelte politiche dell'ONU e delle sue istituzioni. Per lei è giusto così?   Blocher: Ma anche stando dentro non potremo influire. Il Consiglio di sicurezza decide quello che vuole. Vi sono rappresentate le cinque grandi potenze, con diritto di veto. Loro decidono, non gli altri. In secondo luogo, se restiamo fuori non siamo obbligati a rispettare tali decisioni e possiamo decidere da noi come vogliamo procedere, cioè come cavarcela tra le parti in conflitto. Questa è l'idea di base della Croce Rossa e del Corpo d'aiuto in caso di catastrofe. E queste sono cose che può fare uno stato neutrale, ma soltanto se non si lascia coinvolgere nei contrasti tra l'ONU e singoli stati.   Nella lotta al terrorismo è però necessario partecipare alle decisioni. O no?   Blocher: Questo è molto pericoloso. Se entriamo nell'ONU, dobbiamo accettare che sia il Consiglio di sicurezza a decidere chi sono i terroristi e come si deve agire. Ora, se la Svizzera vuole collaborare, e per esempio l'America concorda con le cinque grandi potenze che ci sono centomila terroristi? non è mica molto chiaro che cos'è un terrorista. E come ci si può proteggere contro il terrorismo? Un piccolo stato che sia strettamente neutrale, cioè che non si schiera in conflitti internazionali, non attira i terroristi al proprio interno. E poi, con la polizia, con l'ordine pubblico, con l'esercito, assicura che nel paese non vi sia posto per il terrorismo. Questo è molto meglio che immischiarsi nei continui litigi internazionali, perché in tali casi diventeremmo anche noi vittime del terrorismo.   Ma anche per offrire efficacemente i suoi buoni uffici, la Svizzera dovrebbe essere presente nell'ONU.   Blocher: No. Ovviamente, ci sono buoni uffici che anche gli stati membri dell'ONU possono offrire. Ma quando l'ONU procede contro alcuni stati ? ed errori ve ne sono sempre da ambo le parti - allora solo uno stato che non stia né dall'una, né dall'altra parte può prestare i buoni uffici. Questa è la nostra ricetta. Questo dovremmo fare. Purtroppo il Consiglio federale lo fa troppo poco. Per esempio, nella guerra del Kossovo/Serbia, l'America ha chiesto alla Svizzera se potervamo assumere la rappresentanza diplomatica dei suoi interessi in Serbia. Il Consiglio federale ha detto no, perché non vuole più prestare questi speciali buoni uffici. Cosa che, invece, sarebbe importante.   L'ONU è un fattore economico per la Svizzera?   Blocher: No. Siamo presenti nell'Organizzazione mondiale del commercio e dove le decisioni economiche vengono prese. Ma l'entrata nell'ONU politica è una questione che non tocca l'economia.   Il Consiglio federale dice però che l'adesione all'ONU sarebbe anche un buon investimento.   Blocher: L'ha sempre detto. Ma non ha mai portato un progetto che sia un buon investimento. Ha anche detto sempre che non costa molto, nonostante abbiamo 110 miliardi di debiti. Sta di fatto che andremo a pagare ancora 75 milioni all'anno, con l'aggiunta di molti costi indiretti, senza alcuna utilità per la Svizzera e per il mondo. Gli unici ad averne un'utilità saranno i funzionari, i diplomatici ed i politici che potranno intervenire alle conferenze di New York.   Come giudica il consigliere federale Kaspar Villiger ed altre personalità, che sull'adesione all'ONU oggi hanno cambiato opinione rispetto al 1986?   Blocher: Qualcosa in effetti è cambiato: il loro posto. Il signor Villiger oggi è consigliere federale, e non può più dirsi contrario. Allora non era ancora in governo, e se lo poteva permettere. Anche il signor Frick [Bruno Frick, consigliere agli Stati svittese, PPD, ndr] ha detto che quella volta stava con i contrari. Io non me n'ero mai accorto; ma può essere. Oggi è nella commissione parlamentare di politica estera. È chiaro: quando uno accede all'improvviso alla "classe politique", cambia colore.   Però sono anche cambiate le condizioni internazionali?   Blocher: Sì, ma il contratto che dovremmo firmare è sempre lo stesso.   Se il popolo respinge l'adesione all'ONU, il consigliere federale Joseph Deiss dovrebbe dimettersi?   Blocher: No. Ma deve accettare la decisione popolare. Non può dire: io faccio il contrario. I consiglieri federali non devono dimettersi se perdono le votazioni.   Perché non ha fiducia nella politica del Consiglio federale?   Blocher: Il Consiglio federale nasconde la sua volontà di non essere neutrale. Vuole entrare nell'Ue, dove non potrà mai essere neutrale, poiché dove si fa una politica comune estera e di sicurezza non si può essere neutrali. Ma non lo dice al popolo. Dice semplicemente: restiamo neutrali ma facciamo il contrario. Inoltre, prima di molte votazioni popolari il Consiglio federale ha promesso cose che poi non ha mantenuto. Mi riferisco alla legge sull' assicurazione malattia, che noi abbiamo combattuto dicendo che sarebbero aumentati i premi, mentre ilConsiglio federale sosteneva che sarebbero diminuiti. Ci aveva chiamato bugiardi. E adesso si vede cos'è successo. Dunque, io non ho fiducia. Per l'Expo, ci ha detto che ci sarebbe costata soltanto 130 milioni, ora siamo a 830 milioni. Nel caso Swissair, all'inizio ci ha detto: 450 milioni e non un centesimo di più; e poi abbiamo pagato due miliardi. E per i costi dell'entrata all'ONU ci ha detto: 75 milioni non sono molti. Con questi soldi potremmo pagare interessi e ammortamenti per un secondo tunnel del San Gottardo. Ma l'ONU costerà molto di più. Ecco, tutte queste sono promesse fatte al popolo per ottenerne l'approvazione su qualcosa. Ed il popolo dovrebbe crederci. Ma io non ci credo.   Come può dimostrare che il Consiglio federale non abbia l'intenzione di difendere la neutralità?   Blocher: Primo: vuole sottoscrivere l'accordo di adesione all'ONU, e questo è contro la neutralità. Secondo: vuole entrare nell'UE, dove non si può essere neutrali. Ma ci sono altre prove. Abbiamo collaborato alle sanzioni dell'ONU contro l'Iraq; e anche questo era contro la neutralità. Non avremmo dovuto farlo: in tal modo siamo corresponsabili del fatto che laggiù mezzo milione di persone soffre la fame; e il dittatore è ancora là.   In questa campagna contro l'adesione all'ONU, l'UDC ha usato toni più morbidi ed ha impiegato meno mezzi finanziari. Perché?   Blocher: Toni più morbidi? Noi diciamo quel che abbiamo da dire. Non abbiamo bisogno di provocare, perché la maggioranza del popolo è scettica verso l'ONU. Dobbiamo solo dire di che si tratta. Ma noi abbiamo molto meno denaro dell'altro schieramento: è uno scandalo che il Consiglio federale e il parlamento parlino di 1,2 milioni di franchi per la propaganda sull'ONU. Questo è insolito e non va bene. E poi ci sono "Economiesuisse" e un paio di grandi imprese, che pagano anche molto.   Ma quando si trattava dell'esercito, per esempio, avete speso di più.   Blocher: Sì, ma non perché avessimo tanto denaro. Ne avevamo ricevuto molto perché c'era molta gente preoccupata.   Se vince il sì, come dovrebbe comportarsi il Consiglio federale con la politica estera e di neutralità?   Blocher: Una volta nell'ONU, non può più fare nulla. Potrebbe tuttavia stare attento a non farsi coinvolgere in situazioni che potrebbero attirare il terrorismo e la guerra nel nostro paese. E dobbiamo vigilare che non faccia il successivo passo di entrare nell'UE; che non dica: ah, ora la Svizzera non prende più sul serio la neutralità, ora entriamo nell'UE, gli svizzeri lo vogliono. I ticinesi, per esempio, direbbero di no, perché il Ticino finora ha sempre votato per l'indipendenza della Svizzera.   E se vince il no, quali saranno le conseguenze per l'UDC in vista delle elezioni del 2003?   Blocher: Abbiamo già vinto. Indipendentemente da questo risultato. Anzi, per il partito sarebbe persino meglio se non vincesse. Perché in tal caso sarebbero gli altri a portarne la responsabilità. E allora il popolo potrà vedere come aumentano le spese, i viaggi, eccetera. Se invece vince il no, dopo tre mesi tutto è dimenticato. Se vinciamo noi, è meglio per la Svizzera. Se perdiamo, per il partito non sarà uno svantaggio. Siamo in una situazione vincente.

02.02.2002

L’Etat doit protéger les petits actionnaires

Interview dans Le Temps du 2 février 2002 Le conseiller national et entrepreneur zurichois Christoph Blocher estime que les grandes sociétés cotées en Bourse présentent la même faille que les pays socialistes. Propos recueillis par Jean-Claude Péclet Que pensez-vous des conditions offertes par Swissair à Mario Corti? Christoph Blocher: Si ce qu'on lit est vrai, c'est irresponsable, une absolue stupidité. Je ne suis pas contre les hautes rémunérations, tant qu'elles récompensent le succès. De là à payer d'avance 12 millions de francs sans aucune garantie en cas de faillite... Je suis persuadé que, si les actionnaires de Swissair avaient connu les conditions du contrat d'engagement, ils s'y seraient opposés. Votre dernier discours de l'Albisgüetli était largement consacré à ce thème, et vous réclamez aujourd'hui une transparence totale des salaires pour les hauts dirigeants d'entreprise. Pourquoi? Blocher: J'ai longtemps hésité. La mauvaise gestion et l'incompétence de certaines élites économiques ont pris de telles proportions qu'elles ne nuisent plus uniquement à leur entreprise, mais à l'économie suisse. Ces pseudo-élites doivent être identifiées et remplacées rapidement. Quand j'entends le président du Parti radical déclarer au parlement qu'il faut payer 2 milliards de recettes fiscales pour sauver une compagnie nationale car un refus "provoquerait une perte de confiance dans l'élite économique et politique de ce pays", je trouve cette raison d'Etat étrange. Justement, ne réglez-vous pas des comptes politiques avec les radicaux? Blocher: Non, c'est un problème de fond. Les grandes sociétés cotées en Bourse présentent exactement le même défaut que les Etats socialistes. Elles sont la propriété collective de milliers d'actionnaires actuellement impuissants à faire valoir leurs droits. Or protéger la propriété privée est un devoir de l'Etat. Pour rétablir la confiance, ce dernier doit rendre obligatoire un système de rémunération rigoureux et transparent, dont les principes seront approuvés par l'assemblée générale des actionnaires. Notamment, les salaires des dirigeants d'entreprises cotées en Bourse doivent être publiés dans le rapport annuel. De façon globale pour chaque organe dirigeant, comme le prévoit une nouvelle directive de la Bourse suisse? Blocher: Non, de façon individualisée. Il faut donner les noms, pas seulement le montant global. Et la rémunération doit être clairement liée à des objectifs chiffrés fixés dans le temps. Ces règles doivent être connues et approuvées avant la signature de tout contrat d'engagement. Depuis que je m'intéresse à la question, j'ai découvert des systèmes très raffinés pour camoufler la rémunération des responsables. Par exemple? Blocher: Si la loi oblige à publier les cinq plus gros salaires, certaines entreprises s'arrangent pour que cinq chercheurs - par exemple - déclarent les plus hauts salaires tandis que les dirigeants reçoivent des rémunérations indirectes supérieures. Au fait, quel est votre salaire? Blocher: Il est de 350 000 francs par an. Mais mentionner cette somme hors contexte n'est pas équitable vis-à-vis du chiffre articulé pour Mario Corti. Je possède 70% des actions de ma société et profite donc de sa plus-value. Rémunérez-vous vos cadres dirigeants en actions? Blocher: Nous n'avons pas ce système qui n'est pas sans danger, comme l'a montré le scandale Enron. Nos dirigeants ont des salaires situés plutôt dans le bas de la fourchette, autour de 200 000 francs par an, mais, s'ils travaillent bien et qu'il y a des bénéfices, leur rémunération peut atteindre le million. Une motion socialiste demande déjà une modification de la loi dans le sens que vous désirez. Quelle va être votre intervention au parlement? Blocher: Je n'ai pas encore déterminé le meilleur moyen d'atteindre l'objectif. J'envisage quelque chose ce printemps.  

30.01.2002

Arafat est aujourd’hui qualifié de terroriste, où est la vérité?

Débat avec conseiller fédéral Pascal Couchepin dans 24 Heures du 30. janvier 2002 Couchepin contre Blocher: un face-à-face sur l'ONU "Bonjour, M. le Chef de l'opposition", a dit le ministre de l'Economie au tribun zurichois en l'accueillant dans son bureau pour le débat organisé par 24 heures et le Sankt Galler Tagblatt. Les deux hommes ne se sont pas fait de cadeaux. Débat dirigé par Denis Barrelet (24 heures et Tribune de Genève) et René Lenzin (Sankt Galler Tagblatt) Quelle est votre idée de la Suisse? Christoph Blocher: La recette qui a fait le succès de la Suisse, c'est la liberté, l'indépendance, la démocratie directe et la neutralité intégrale. Nous sommes un pays ouvert au monde, ami de tous, mais qui ne veut pas se lier les mains. Coopération oui, intégration non. Pascal Couchepin: La Suisse est un pays indépendant et sûr de lui, fier de ses particularités. C'est aussi un petit pays réaliste qui sait que pour exister dans le monde il faut avoir des amis, qu'il faut avoir des réseaux de solidarité et être présent là où la politique mondiale se dessine. Et qu'en déduisez-vous à l'approche de la votation du 3 mars? Blocher: Que si nous entrions à l'ONU politique, nous nous soumettrions aux décisions du Conseil de sécurité, ce qui serait contraire à la neutralité. Mais il y a d'autres pays neutres au sein de l'ONU. Blocher: Un seul pays possède une neutralité intégrale: la Suisse. La Suède et la Finlande ont une neutralité de cas en cas. L'Autriche a une neutralité similaire, puisqu'elle lui a été imposée après la guerre, selon le modèle suisse. Mais, en tant que membre de l'Union européenne, elle est en train de l'abandonner. De 1945 jusqu'au début des années 1980, le Conseil fédéral a toujours prétendu que l'adhésion à l'ONU n'était pas compatible avec la neutralité, à cause des articles 41 à 43 de la charte, qui obligent les pays membres à se soumettre aux décisions du Conseil de sécurité. Avant la première votation sur l'adhésion à l'ONU en 1986, il a changé son fusil d'épaule. En fait, il a abandonné la neutralité. Cet abandon lui permettait surtout de lorgner en direction de l'Europe. Couchepin: Nous sommes un pays neutre et tenons à le rester. Dans la lettre d'adhésion que nous enverrons à l'ONU et dont les termes ont d'ores et déjà été acceptés par l'organisation, nous réservons l'exercice de nos droits dans le respect de la neutralité selon notre conception. C'est faire injure au peuple suisse et aux autorités qu'il élit de penser qu'ils trahiront cette condition de l'adhésion. Vous nous faites toujours des procès d'intention, M. Blocher. Quand les autorités disent quelque chose, vous les soupçonnez toujours de mentir au peuple. C'est profondément antidémocratique. Entre adversaires politiques, il y a au minimum une certaine bienveillance à avoir, sinon vous tuez le débat démocratique. Blocher: Passons sur ces attaques. Il est naturel que, lorsqu'on n'a plus d'argument à avancer, on pousse l'adversaire dans un coin, comme vous le faites maintenant. Couchepin: Il me semble que c'est plutôt votre méthode que la mienne. Blocher: Pour le citoyen, il est simple de savoir ce qu'est la neutralité. C'est de ne pas participer aux conflits des autres. Or, nous allons signer un contrat où il est dit que le Conseil de sécurité peut décider que la Suisse doit condamner un peuple à la famine, le boycotter, couper les transports. Ce sont des moyens de guerre. Dans l'article 43, les pays membres peuvent être obligés de mettre des troupes à disposition, selon leur procédure interne. Couchepin: Cela veut dire qu'ils peuvent refuser de le faire. Blocher: Juridiquement, vous avez raison, mais il y aurait une pression politico-morale. La neutralité empêche le gouvernement de se jeter tête baissée dans un conflit international. C'est son mérite. Couchepin: La neutralité n'est pas une condition d'existence de la Suisse. C'est un moyen pour assurer notre sécurité et nous voulons la respecter. Peut-on rester neutre face au terrorisme sans nous mettre nous-mêmes en danger? Voulez-vous que nous soyons le seul pays au monde qui continue à commercer avec Saddam Hussein? Blocher: La Suisse n'aurait pas dû participer au boycott de l'Irak sous cette forme. Un boycott alimentaire contre un pays provoque la mort de centaines de milliers d'innocents, sans toucher le dictateur visé. Celui-ci en sort même renforcé. J'ai proposé, à l'époque, de maintenir le courant normal et d'engager un programme ciblé pour soutenir les plus pauvres dans le pays. Couchepin: Ce boycott de l'Irak, c'est exactement le type de débat qui ne peut être conduit qu'à l'intérieur de l'ONU. Il faut être à l'intérieur pour pouvoir exprimer un avis divergent. Si la Suisse est à l'extérieur, il est totalement illusoire de croire qu'elle peut décider à sa guise du type de boycott qu'elle peut appliquer. Nous ne pouvons pas avoir de politique autonome efficace dans ce domaine. Vous me direz que, si nous sommes à l'intérieur, nous ne serons pas entendus. Eh bien! moi, je suis fier de mon pays et je crois qu'il a la capacité de faire entendre des arguments rationnels. Et le terrorisme? Blocher: Le terrorisme n'est pas un Etat, mais une forme de combat, celle des faibles. La meilleure façon de s'en protéger, c'est de se maintenir neutres entre les blocs, pour ne pas l'attirer chez nous, et de refuser que des organisations terroristes s'implantent sur notre sol. Il faut aussi que l'armée et la police fassent leur travail. Couchepin: Le terrorisme est une forme de combat, mais il arrive qu'il soit soutenu par un Etat, comme en Afghanistan. Lorsque c'est le cas, on voit bien qu'il n'y a pas de neutralité possible. En résumé, nous sommes neutres et nous voulons le rester, selon nos intérêts, à l'intérieur de l'ONU. Tout le reste n'est que théorie et conduit simplement à la disparition de la présence de la Suisse dans le monde. M. Blocher, vous estimez-vous plus compétent que l'ensemble des professeurs de droit international public de Suisse et de l'étranger, qui jugent la neutralité compatible avec la Charte des Nations Unies? Blocher: Tous parlent du droit de la neutralité selon la Convention de La Haye. Non de la politique de neutralité. La politique de neutralité de la Suisse, en particulier celle de la population, signifie qu'on ne participe à des conflits internationaux en aucune manière. Ces spécialistes disent que l'ONU n'est pas un Etat, mais une communauté d'Etats. En fait, si elle agit contre d'autres Etats et qu'elle nous oblige à le faire, ce n'est pas contraire à la neutralité peut-être, mais contraire à notre politique de neutralité. Ce sont deux plans différents. Vous êtes donc d'accord pour dire que la neutralité n'est pas violée par une adhésion, mais la politique de neutralité. Blocher: Oui. Le Conseil de sécurité est marqué par le poids des grandes puissances. Cela ne vous fait-il pas peur, M. Couchepin? Couchepin: Le veto, ce n'est pas l'expression de puissances arrogantes qui veulent imposer leur diktat au reste du monde. C'est la décision des grands Etats qui ont sauvé les démocraties et qui ont permis, après la guerre, de reconstruire un monde sans Hitler, Mussolini et le Japon impérial. Ce n'est pas quelque chose de totalement immérité. Deuxièmement, le droit de veto, nous le connaissons aussi dans notre système politique suisse. La majorité des cantons requise pour des modifications constitutionnelles, c'est le droit de veto des petits cantons à l'égard des grands cantons. Et, au fond, le système des Nations Unies sans le droit de veto des grands, c'est un système où il y aurait seulement la majorité des Etats. Andorre et la Principauté de Monaco pourraient imposer leur volonté aux Etats-Unis d'Amérique. Cela ne marche pas. Ou c'est comme si en Suisse, la majorité des petits cantons pouvait imposer aux grands cantons sa volonté. Tous les systèmes démocratiques cherchent un équilibre entre la puissance du nombre et la personnalité des Etats. Blocher: Voilà une description bien romantique du droit de veto. En Suisse, les petits cantons ont un droit de veto à condition d'obtenir une majorité. Au Conseil de sécurité, une grande puissance peut tout bloquer. C'est comme si Zurich avait un droit de veto. Ce serait insupportable pour un démocrate. Couchepin: Vous n'avez pas compris ce que j'ai dit. Blocher: Laissez-moi parler! Les cinq grandes puissances se sont arrangées pour qu'on ne puisse jamais leur imposer une résolution dans leur zone d'influence. Prenez le conflit israélo-palestinien: plusieurs résolutions de l'ONU condamnent la politique de colonisation israélienne. Elles ne sont pas appliquées, car les Etats-Unis s'y opposent. Si les grandes puissances n'obtiennent pas le soutien du Conseil de sécurité, elles se passent de l'ONU. La guerre au Kosovo a été faite par l'OTAN. C'était une guerre illégale, le Conseil de sécurité n'y avait pas donné son accord. En Afghanistan, les Etats-Unis ont mené la guerre seuls. Comme Etat neutre, nous ne devrions pas nous compromettre dans un tel système. Nous avons un rôle à jouer dans le domaine des bons offices. Malheureusement, ces dix dernières années, la Suisse n'a pratiquement plus assumé sa mission d'Etat neutre, simplement parce que le gouvernement voulait être comme les autres. Couchepin: Vous avez dit avec raison qu'une guerre qui n'est pas approuvée par les Nations Unies est une guerre illégale. Cela montre que spontanément, quand vous parlez avec bon sens - ce qui arrive souvent, mais pas toujours -, vous admettez que la seule organisation internationale qui dit le droit, c'est l'ONU. Et vous ne voulez pas en faire partie. Il ne faut pas oublier non plus que le droit de veto est donné à cinq puissances, dont les intérêts sont divergents. Pour un pays comme le nôtre qui ne peut pas être entraîné dans des aventures, c'est une protection. Si ces cinq pays acceptent une décision, c'est bien qu'elle est portée par l'ensemble de la communauté mondiale et non par les intérêts d'un seul groupe. Le droit de veto n'est pas une solution parfaite, mais c'est une solution moins imparfaite que si elle n'existait pas. Blocher: Je suis étonné qu'un démocrate trouve cela bien. Cela dit, même si les cinq pays n'exercent pas leur droit de veto, ils peuvent défendre des intérêts inavouables. Couchepin: Un exemple? Blocher: Tout le monde est contre le terrorisme. Mais cette unanimité est trompeuse. La Russie, par exemple, défend cette position pour avoir les mains libres en Tchétchénie. Couchepin: La seule question importante est celle-ci: M. Blocher, êtes-vous opposé à la guerre contre le terrorisme? Blocher: Je suis pour la guerre contre le terrorisme, mais je veux que nous puissions décider qui est terroriste et qui ne l'est pas. Le Prix Nobel Arafat est aujourd'hui qualifié de terroriste. Où est la vérité? Couchepin: Moi j'ai décidé. J'ai décidé que nous sommes heureux de pouvoir nous joindre à une coalition mondiale contre le terrorisme. Il y va de la sécurité dans ce pays et dans le monde. On ne peut pas isoler la sécurité de la Suisse de celle du reste du monde. Blocher: C'est vrai, mais la Suisse ne doit pas se contenter de singer les autres. Elle doit aussi réfléchir par elle-même. Couchepin: Bien entendu. Nous devons pouvoir discuter des mesures à prendre. Et pour cela, nous devons être à l'intérieur de l'ONU, car sinon, les décisions seront prises et nous seront imposées sans que nous ayons un droit de codécision. Blocher: Comment voterait la Suisse dans la guerre entre Israël et la Palestine si elle était au Conseil de sécurité? Couchepin: C'est une question très théorique. Il y a des résolutions des Nations Unies qui doivent être appliquées. Pour l'instant, nous ne sommes pas candidats au Conseil de sécurité. En fonction de notre vision de la neutralité, peut-être même que nous renoncerons à l'être. Vous invoquez souvent la démocratie directe, M. Blocher. Blocher: La participation dans des organisations internationales a pour effet d'éloigner le gouvernement de son peuple. Ce ne sont pas les représentants du peuple qui se retrouveront dans le palais de verre de Manhattan, mais des conseillers fédéraux, des diplomates, des fonctionnaires. Et ils seront soumis à des pressions politico-morales énormes, qui pourraient les forcer à prendre des décisions dont le peuple suisse ne veut pas. Couchepin: Jamais, dans l'histoire de la Suisse, les compétences en matière de politique étrangère n'ont été autant partagées. Le Conseil fédéral doit consulter le Parlement et les cantons. Il y a des débats publics. La démocratie directe est fondamentale pour moi dans ce pays, mais dans un cadre plus large voulu par le peuple. Celui-ci nous vaudra des engagements nouveaux, certes, mais aussi des chances supplémentaires. Blocher: Quoi qu'il en soit, notre souveraineté sera réduite massivement. Couchepin: La souveraineté est une notion admise par tous. Pourquoi s'appliquerait-elle de manière différente à la Suisse qu'aux autres nations? Etes-vous d'avis que les 189 pays membres de l'ONU ne sont plus des Etats souverains? Blocher: La différence, c'est qu'en Suisse, le peuple est souverain. C'est lui qui décide, par exemple, d'adhérer ou non à l'ONU. Que penser du coût de l'adhésion? Blocher: Avant la votation, ça coûte toujours peu. On parle de 75 millions, oui, mais on n'en restera pas là. Il y aura des dépenses indirectes. L'assemblée générale conseille déjà de consacrer 0,7% du produit national brut à l'aide au développement. La pression sur le Parlement suisse sera grande. Couchepin: Le seul élément important dans votre diatribe, c'est le chiffre de 75 millions sur un budget fédéral de 50 milliards de francs. Tout le reste, c'est de la polémique. Le 0,7% dont vous parlez, c'est une recommandation qui est faite à tous les pays de la Terre, membres ou non de l'ONU. C'est un objectif de développement qui peut se discuter. Je suis plutôt d'avis qu'il faut l'atteindre si c'est financièrement possible, car si on veut lutter contre le terrorisme, il faut aussi lutter contre les causes du terrorisme, dont l'une est la pauvreté et l'amertume qu'elle engendre. Ce qui frappe, c'est que le monde politique n'est pas seul à s'engager massivement pour l'adhésion. L'économie presque unanime aussi est favorable. Blocher: Je réalise presque 90% de mes ventes à l'étranger, sur tous les continents. L'adhésion n'est pas une question économique. Le combat est mené presque uniquement par de grandes entreprises, chimiques et banques en tête, qui croient que notre réputation à l'étranger sera meilleure si nous adhérons. Je trouve étonnant que ceux qui parlent ainsi soient aussi ceux qui ont ruiné Swissair. Je ne dis pas que l'adhésion nuirait à l'économie. Nous avons une très bonne réputation dans le monde, et l'adhésion passerait inaperçue. Couchepin: Je suis également convaincu que ce n'est pas une question économique. Par contre, l'économie ne peut pas vivre sous une cloche à fromage. Elle ne peut prospérer que dans un monde où il y a plus de sécurité, plus de solidarité, plus de justice. Ce sont les objectifs de la Suisse, et de l'ONU. L'ONU est la seule organisation internationale qui discute de ces problèmes à l'échelle mondiale. On doit être présents, et l'économie sait que des théories comme les vôtres sont irréalistes. Il faut la remercier, et ne pas la mettre sur le banc des accusés parce que l'un ou l'autre des responsables de l'économie a peut-être des problèmes. L'économie montre qu'elle a aussi le sens de l'intérêt général, et c'est tant mieux. L'ONU a-t-elle dans le monde des effets plutôt positifs ou plutôt négatifs? Blocher: C'est difficile à dire, car on ne sait pas ce que serait le monde sans l'ONU. Il y aurait peut-être d'autres organisations. Cela dit, je ne combats pas l'ONU. La Suisse fait d'ailleurs partie de toutes les organisations de l'ONU, sauf de celle qui décide des guerres et des boycotts. Mais dès qu'il s'agit de faim dans le monde, des réfugiés, du climat, des droits de l'homme, des questions économiques, nous sommes présents et nous payons un demi-milliard par an. Les décisions prises dans les organisations spécialisées ne sont pas toujours la panacée Mais des organes suprarégionaux sont nécessaires. L'important, pour moi, c'est que les décisions qui y sont prises ne sont jamais obligatoires pour le pays membre. Le droit national prévaut toujours. Avec l'ONU, c'est autre chose. Si nous adhérons, nous devons nous soumettre au Conseil de sécurité. Couchepin: La moitié des arguments des opposants porte sur la prétendue faiblesse des Nations Unies, et l'autre moitié, exprimée aujourd'hui par M. Blocher, stigmatise la volonté trop forte de l'ONU. On ne peut pas défendre ces deux sortes d'arguments à la fois. La réalité, encore une fois, c'est que l'ONU est la seule organisation du village mondial. Et vouloir faire partie de tout ce qui est décidé à l'Assemblée générale, c'est-à-dire des organisations spécialisées, sans faire partie du noyau central de l'organisation, c'est payer en se privant des moyens de donner son avis dans la communauté. On est un petit pays, c'est vrai. Quand je vais voter, je suis un citoyen parmi d'autres. Quand j'étais conseiller national, j'étais un parmi 200. Et je n'avais pas l'idée de renoncer à mes activités politiques parce que je n'étais qu'un sur 200. La Suisse pourra jouer un rôle plus fort que celui qui revient à un Etat sur 189. Blocher: Moi je n'entrerais pas dans un club où l'un des membres a un droit de veto et m'impose sa volonté sur des questions aussi importantes que la guerre et la paix. Le fait que si la Suisse n'adhère pas, elle sera le seul pays avec le Vatican a ne pas être membre de l'ONU, ça ne vous gêne pas? Blocher: Non. Au fond, dans le monde, sur ces questions de guerre et de sanctions, il n'existe que sept pays vraiment indépendants: les cinq grandes puissances, le Vatican et la Suisse. Ce sont les seuls pays qui peuvent encore librement décider de mesures contre un autre pays. L'ONU n'est pas une organisation de droit, mais de puissance. Comme petit pays, la Suisse doit s'en tenir au droit. Couchepin: J'ai beaucoup de respect envers le Vatican, mais la Suisse a une autre vision du monde que le Vatican et joue sur un autre registre. L'adhésion à l'ONU s'inscrit dans un projet de politique extérieure du Conseil fédéral. Quelle serait la suite après une adhésion à l'ONU? Couchepin: Le but général et essentiel de la politique étrangère est d'assurer un maximum d'identité, de présence et de capacité de décision à notre pays. C'est de permettre de résoudre les problèmes qui se posent à notre pays. Dans le cadre de l'ONU, nous pouvons mieux résoudre nos problèmes de sécurité qu'en dehors. Nous essayons de régler une partie de nos problèmes avec les bilatérales. Pour l'instant, il n'y a pas d'autres ambitions concrètes à court terme que celle-là. On verra plus tard si le but stratégique de l'adhésion à l'UE doit se concrétiser. Comme vous le savez, c'est une question qui se posera au minimum dans sept ans et probablement plutôt dans dix ans. Blocher: C'est en fait la question de la position de la Suisse dans la politique étrangère. Nous combattons l'adhésion à l'ONU, à l'UE et à l'OTAN parce qu'elle est contre les principes de l'autodétermination, de la souveraineté, de la neutralité et de l'ouverture au monde sans intégration. Depuis une dizaine d'années, le Conseil fédéral file du très mauvais coton. Cela a commencé par ce rapprochement avec l'ONU, heureusement avorté en 1986, puis l'EEE et le but stratégique de l'adhésion à l'UE. Il a même fait les yeux doux à l'OTAN. Mais pour gagner la votation sur les soldats suisses à l'étranger, il a dû y renoncer. Il semble bien, M. Blocher, que la seule chance que vous ayez de gagner, c'est d'obtenir la majorité des cantons. Cela ne vous dérange-t-il pas d'imposer une solution à la Suisse contre la volonté de la majorité du peuple? Blocher: Non, je n'impose rien. Notre système prévoit ces deux majorités pour les affaires importantes. C'est un des éléments qui fait l'équilibre et la force de notre démocratie. J'avoue que, comme nous avons peu de moyens financiers, nous nous concentrons sur certains cantons. Nos adversaires font la même chose, sauf qu'ils utilisent l'argent du contribuable et des grandes entreprises. Quand on a obtenu 2 milliards pour Swissair, on peut bien dépenser quelques millions pour cette campagne. Couchepin: Le 3 mars, est-ce un jour important? Blocher: Ce jour-là, il s'agira de savoir si nous voulons conserver les piliers qui ont rendu la Suisse forte. Si nous adhérons à l'ONU, la Suisse se soumettra au Conseil de sécurité et deviendra moins sûre. Nous attirerons la guerre et le terrorisme. Et le peuple perdra de son influence. Couchepin: Le 3 mars, le peuple décidera comment il veut assurer le mieux la sécurité et la présence de ce pays dans le monde. L'ONU regroupe la totalité des Etats de la planète. C'est elle aussi qui fait le plus concrètement le droit international. La Suisse doit y être présente pour apporter sa voix originale, et participer au combat pour un monde plus juste, plus sûr.  

21.01.2002

Geschwätz über den service public

Mein Beitrag in der Berner Zeitung vom 21. Januar 2002 Nur die private Marktwirtschaft könne die Bedürfnisse der Menschen befriedigen, sagt SVP-Nationalrat Christoph Blocher. Die Staatswirtschaft sei dazu nicht in der Lage. Leider gelte vielerorts das Gegenteil. Christoph Blocher Eine funktionierende Brotversorgung gehört zu den wichtigsten Diensten an der Öffentlichkeit. Sie ist daher ein Service public. Doch sagen sollte man dies nicht zu laut, sonst finden sich schnell linke und nette Politiker, die die Brotversorgung verstaatlichen möchten, vor allem, wenn eine bedeutende Bäckerei in den Konkurs geraten sollte. Denn für Linke ist Service public nur durch Staatsbetriebe zu gewährleisten. Was wäre die Folge einer solchen Verstaatlichung? Täglicher Brotmangel oder Brotüberschuss, wahrscheinlich beides gleichzeitig, Preisanstieg und armseliges Brotsortiment, unzufriedene Kunden und Konsumenten, alles mangels Konkurrenz. Dazu kommen Subventionen, die Bäckereien über Wasser halten. Im Interesse der Menschen Wo der freie Markt, wo Konkurrenz und Wettbewerb möglich sind, kann nur die private Marktwirtschaft die Bedürfnisse der Menschen befriedigen. Die Staatswirtschaft ist untauglich. Obwohl dies längst erwiesen ist, gilt vielerorts das Gegenteil. So hält sich der Staat ein eigenes Fernsehen und behindert dadurch die Meinungsvielfalt. Ausgerechnet im Land der direkten Demokratie! Tele 24 und TV3 sind gestorben, weil der Staat keinen echten Wettbewerb zulässt. Hier ist dringend Liberalisierung geboten. Die Swisscom bezeichnet man zwar als privatisiert. Doch der Staat hält weit über 50 Prozent ihrer Aktien. So behindert ein privilegierter Staatsbetrieb die private Konkurrenz, indem er zum Beispiel das Monopol über die letzte Meile hält. Die Gefahr ist gross, dass sich auch hier die privaten Konkurrenten zurückziehen müssen. Damit wird Telefonieren teurer. Der Swisscom-Bundesanteil ist deshalb rasch zu veräussern. Allen Anbietern sind die Infrastrukturen zu gleichen Bedingungen zur Verfügung zu stellen. Ebenso ist die Export-Risiko-garantie (ERG) auf private Basis zu stellen, und die staatliche, halbstaatliche und kartellisierte Stromwirtschaft ist aufzubrechen. Diese hat der Schweiz, dem Wasserschloss Europas, die höchsten Energiepreise Europas beschert! Das revidierte Elektrizitätsmarktgesetz (EMG) liberalisiert nur mangelhaft. Verheerend ist die neue Staatsbeteiligung - und damit die Ausserkraftsetzung der Marktwirtschaft - in der Flugfahrt. Die Flugkonsumenten und Steuerzahler haben das Nachsehen. Die neue Crossair ist ein Rückfall in eine Staatswirtschaft mit all ihren negativen Folgen. Die neue Lösung freut nur Politiker und private Investoren, die Angst vor dem freien Markt haben, weil sie dort weitgehend versagt haben. Auch sind die Preise vieler Produkte, die durchaus in der freien Marktwirtschaft bestimmt werden könnten, staatlich festgelegt oder reguliert. Die Missstände sind hier offensichtlich. Es ist kein Zufall, dass im Jahr 2002 vor allem diejenigen Preise erneut und dauernd steigen, die entweder staatlich festgelegt oder staatlich reguliert sind. So beim Bier (durch die Erhöhung der Biersteuer), bei den Mieten, im öffentlichen Verkehr, im ganzen Gesundheitswesen, bei den Krankenkassen usw. Würde man die Preisfestsetzung dem Wettbewerb aussetzen, wäre das Preisniveau überall tiefer. Monopolbetriebe Aus natürlichen oder wirtschaftlichen Gründen können bei grossen Infrastrukturen, wie beispielsweise bei Strassen, Schienen, Pipelines, Stromleitungen und Wasser-Versorgungen, die Bedürfnisse nur durch einen Monopolbetrieb befriedigt werden. Wo ein solches Monopol unumgänglich ist - aber nur dort -, ist ein staatliches Monopol mit demokratischer Kontrolle besser als ein privates Monopol. Dies gilt aber ausdrücklich nicht für zum Beispiel die ganze Abfallwirtschaft, die Telekommunikation, das Fernsehen, die Gütertransporte auf Schiene und Strassen, die öffentlichen Bauten, die Crossair oder das gesamte Gesundheitswesen. Nein zur Mischwirtschaft Neuerdings werden so genannte Service-public-Unternehmen halbprivatisiert. Das heisst, die Privatwirtschaft und die Politik betreiben die Betriebe gemeinsam. Was gibt es Schöneres als "Wir sitzen so traulich beisammen und haben einander so lieb". Überwacher und zu Überwachende sitzen am gleichen Tisch und sind oft gar die gleiche Person. Zu leiden haben wieder die Benutzer. So war es bei der alten Swissair, und so wird es noch verstärkt bei der Crossair sein. So ist es bei den "privatisierten" Rüstungsbetrieben, bei der SRG, bei der Expo, um nur einige Bespiele zu nennen. Mit diesen gemischtwirtschaftlichen Formen ist aufzuräumen. Sie führen zur Vettern-Wirtschaft, zu "Sauhäfeli - Saudeckeli" und zur Korruption. Sie dienen einzig Politikern und Funktionären sowie einigen Privaten, die das Licht der Marktwirtschaft scheuen. Landwirtschaft Die Landwirtschaft hat gemäss Verfassung und Gesetz der Nahrungsmittelversorgung, dem Schutz des Landes vor Vergandung und der dezentralen Besiedelung des Landes zu dienen. Die beiden letzten Staatszwecke lassen sich mit der freien Marktwirtschaft nicht erreichen, weil es nichts zu verkaufen gibt. Dazu braucht es aber nicht die heutige unheilvolle Agrarbürokratie, nicht diesen zerstörerischen Interventionismus, der die Landwirtschaft unheimlich verteuert und dem Bauern jede unternehmerische Freiheit nimmt. Vielmehr ist - abgestuft nach Nutzungszonen - den Bauern ein Flächenbeitrag zur Bewirtschaftung des Landes zuzuweisen, mit der Verpflichtung, das Land minimal zu bewirtschaften. Das sind keine Sozialbeiträge, und sie haben mit der Einkommenshöhe nichts zu tun. Für den Rest kann die Agrarbürokratie abgeschafft und dem Bauern und den Produkten die Freiheit des Marktes gegeben werden. Die Post ist gefordert Die Umwälzungen sind wohl am stärksten bei der Post. Durch die starke Verschiebung vom Briefverkehr auf die elektronische Kommunikation (z. B. E-Mail, SMS, Telefax, Internet, starke Verbesserung der Telefonverbindungen) und die zunehmenden, qualitativ einwandfreien, privaten Kurierdienste und Verteilorganisationen kommt die Post nicht darum herum, die Kosten zu senken, um konkurrenzfähig zu sein. Damit die Posttaxen nicht ins Unbezahlbare steigen und der Druck von dritter Seite nicht noch mehr erhöht wird, sind vermehrt auch von der Post unkonventionelle Lösungen zu verwirklichen. Sie kann nur bestehen, wenn sie konkurrenzfähig ist. Um namentlich auch abgelegene Orte bedienen zu können, sind dort vermehrt auch Gemeinschafts-Lösungen zu treffen. Warum nicht die Post mit den Gemeindekanzleien, dem Dorfladen oder gar dem Pfarrer zusammenlegen? Eine Postbank - nach den Kantonalbanken -, das heisst eine eidgenössische Bank, die den Wettbewerb verzerrt, nein danke. Auch das wäre kein Dienst am Kunden, kein Service public, sondern wieder eine Staatsbank zur Freude von Politikern und Funktionären.

18.01.2002

Viens gamin, et regarde ton p’tit pays!

Discours de l'Albisgüetli, 18 janvier 2002