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Independence

08.05.1999

14a Assemblea generale ordinaria dell’ ASNI

Messaggio di benvenuto e valutazione della situazione del 8 maggio 1999 Del dott. Christoph Blocher, consigliere nazionale e presidente dell'Azione per una Svizzera neutrale e indipendente (ASNI), in occasione della 14a Assemblea ordinaria dell'ASNI di sabato, 8 maggio 1999, a Berna. Cari membri, Gentile signore, egregi signori, Se oggi, in occasione dell'Assemblea ordinaria dell'Azione per una Svizzera neutrale e indipendente (ASNI), si sono riuniti oltre 1200 cittadine e cittadini provenienti da tutto il Paese - molti fra loro si sono addirittura accollati un viaggio di diverse ore -, possiamo parlare di manifestazione, una manifestazione per i valori fondamentali del nostro Paese. Una manifestazione a favore dell'indipendenza e dell'autodeteminazione della Svizzera, per una Svizzera federalista, per una Svizzera in cui le cittadine e i cittadini dovrebbero rimanere l'istanza suprema anche per questioni materiali. 8 maggio 1999 Signore e signori, Una manifestazione a favore dell'indipendenza della Svizzera proprio l'8 maggio 1999 ha un'importanza particolare 54 anni fa, l'8 maggio 1945, si pose fine in Europa alla seconda guerra mondiale. Una lotta durata sei anni a favore di un'Europa liberale e democratica. Si pose fine alla tirannia e a una dittatura disumana. Possiamo essere riconoscenti alla Svizzera di quei tempi che - parzialmente circondata da un sistema di tirannia - è riuscita a preservare la pace, la libertà, la democrazia e l'indipendenza anche durante la seconda guerra mondiale grazie alla neutralità armata permanente, alla sua volontà di difesa e a circostanze fortunate. Nel 1946, il giorno prima del famoso discorso di Zurigo, Churchill, che svolse un ruolo determinante nella liberazione dell'Europa, lanciò al popolo svizzero, dalle scalinate di Palazzo federale a Berna, le seguenti parole: "Avete vissuto un periodo di angoscia e in cui siete stati messi alla prova. Sotto l'egida del vostro sistema di Governo semplice e stabile siete stati condotti lontani dai pericoli e dagli intrecci politici che vi avrebbero distrutti se foste stati governati in maniera poco appropriata. Ma come si dice giustamente, una vigilanza costante è il prezzo che bisogna pagare per la libertà. (...) E poiché la libertà risiede nelle montagne, poiché il popolo svizzero ha realizzato, in seno alla Confederazione, l'idea moderna della democrazia sociale, poiché il popolo svizzero ha saputo preservare l'indipendenza rimanendo contemporaneamente aperto al mondo e sempre disposto a soccorre e ad aiutare, ecco è per tutti questi motivi che ne ho una grande stima." 1999, 500 anni dopo la separazione dall'Impero germanico A essere simbolico non è solo l'8 maggio, bensì tutto il 1999. Sono passati 500 anni dalla "guerra degli Svevi". Mezzo millennio fa gli Svizzeri si sono separati dal Sacro Romano Impero germanico. Si tratta di un anniversario importante. Ovvio, quindi, che il Consiglio federale e il Parlamento abbiano deciso, analogamente a come lo hanno fatto l'anno scorso per la cerimonia del 350° anniversario della Pace di Vestfalia, di passare sotto silenzio e di ignorare il 500° anniversario dalla separazione dal Reich e, di fatto, dal distaccamento dal Sacro Romano Impero germanico. Solo Stati dittatoriali hanno normalmente l'abitudine di ignorare gli anniversari a loro non congeniali o di interpretarli a modo loro. Non è infatti un caso, bensì un calcolo politico, se i 500 anni dalla fine della guerra con gli Svevi non vengono festeggiati, in quanto la data ricorda la separazione definitiva della Confederazione dal Sacro Romano Impero germanico. Allora i Confederati si rifiutarono con successo di versare una tassa all'Impero nonché di assoggettarsi alla corte suprema dell'Impero germanico e alla politica di potere europea degli Asburgo. Da 500 anni la Svizzera è praticamente separata dal Reich. Tenuto conto della trascuratezza che si constata attualmente a livello di politica estera della Svizzera, non bisogna sorprendersi, signore e signori, che la Berna ufficiale non commemori questo anniversario, in quanto l'indipendenza è in contraddizione con la capitale federale, che chiede ai cittadini di aderire all'Unione europea: un'adesione all'UE non significa altro che un nuovo assoggettamento della Svizzera a una tassa imperiale, a una corte suprema europea e alla politica di grande potenza europea. Potremmo forse anche essere felici che il Consiglio federale con commemori l'avvenimento, altrimenti ci vedremmo magari costretti a vedere il Consiglio federale scusarsi davanti a personalità straniere per la vittoria ottenuta nella guerra con gli Svevi e, quindi, per 500 anni d'indipendenza. Ecco perché, signore e signori, augurarvi il benvenuto nel 500° anniversario della guerra contro gli Svevi e, quindi, in occasione della ricorrenza della separazione della Svizzera dal Sacro Romano Impero germanico e nel giorno del 54° anniversario della fine della seconda guerra mondiale riveste un grande valore simbolico. La Svizzera e la guerra in Kosovo Non è solo la commemorazione storica, bensì soprattutto l'attualità che mostra in maniera eloquente l'importanza fondamentale dell'Azione per una Svizzera neutrale e indipendente: gli avvenimenti in Kosovo illustrano a tutti i cittadini svizzeri la necessità dell'indipendenza e della neutralità permanente e armata nel nostro Paese. Nell'arco di poche settimane, i discorsi superficiali e irrazionali di coloro i quali non hanno mai cessato di affermare che la neutralità è ormai superata e che non ha più alcun futuro e l'affermazione molto approssimativa secondo cui non vi sarebbe più stata guerra sono stati seccamente smentiti dal sanguinoso conflitto scoppiato nella vicina Iugoslavia. Si tratta della riprova di quanto sia pericoloso gettare in mare principi di Stato dando prova di un bisogno superficiale di allacciarsi alle grandi potenze e di una fantasticheria quasi puerile. Ciò vale anche per il fatto di annunciare - tra l'altro contrariamente alla volontà del Sovrano - che i principi costituzionali dell'indipendenza, dell'autodeterminazione, della democrazia diretta, del federalismo e della neutralità permanente e armata devono essere relativizzati in funzione dei nuovi sviluppi. Proprio questo conflitto illustra quanto sia necessaria per la Svizzera la neutralità permanente e armata. La guerra in Kosovo e l'ASNI La guerra in Kosovo ha mostrato con altrettanta eloquenza quanto sia importante la nostra organizzazione ASNI. Se ne rende conto un numero sempre maggiore di cittadini. Ecco perché l'anno scorso l'ASNI è riuscita ad aumentare in proporzioni inattese il proprio effettivo di membri, e questo anche in un anno in cui non erano in programma votazioni speciali per la causa dell'ASNI. Attualmente il nostro effettivo conta oltre 35'000 membri, ovvero 5'000 in più rispetto all'ultima Assembla generale. Nel solo mese di marzo l'aumento netto del nostro effettivo è stato di 885 persone, mentre nel mese di aprile l'incremento è stato di altri 775 membri. Constatiamo con piacere che fra i nuovi membri si trovano numerosi Romandi e un numero crescente di giovani cittadini. In vista delle votazioni che ci attendono, questo rafforzamento dell'ASNI riveste un'importanza capitale. In quest'anno di elezioni federali, sia il Consiglio federale, sia il Parlamento temono enormemente votazioni sulla politica estera. Tuttavia, dopo queste elezioni, i cittadini svizzeri saranno chiamati alle urne per pronunciarsi sull'adesione all'UE, sull'invio di truppe armate all'estero, sull'adesione all'ONU politica. Si dovrà inoltre combattere contro numerose misure e modifiche di legge volte a preparare il terreno a un'adesione alla NATO (preparativi iniziati con la nostra fatale partecipazione alla "Partnership per la pace"). Dovremo inoltre batterci contro i numerosi tentativi che mirano ad attenuare la nostra neutralità e la nostra indipendenza, contro una "sicurezza sopranazionale collettiva" alquanto nebulosa e contro gli slogan pubblicitari quali "la sicurezza grazie alla cooperazione". Si tratta di raggiri che traggono in inganno i cittadini e il cui fine è quello di portare il nostro Paese verso alleanze di difesa sopranazionali quali la NATO e l'UE. Per i referendum e le votazioni future che comportano tutti questi progetti occorrerà poter contare su un gran numero di membri al fine di poter condurre la nostra lotta senza la stampa e i mass media - che non fanno altro che parlare di noi in senso spregiativo -, analogamente a come avevamo fatto con successo in occasione degli ultimi progetti di politica estera. Signore e signori, dobbiamo far fronte alla schiacciante potenza di coloro che possono servirsi delle casse alimentate dai contribuenti per finanziare le loro campagne elettorali, che dispongono di migliaia di funzionari impiegati a tempo pieno e che, di comune accordo con il Consiglio federale, il Parlamento, i partiti politici, le associazioni professionali e la quasi totalità dei media e dei giornali, non si dedicano più all'informazione, bensì unicamente alle campagne a loro favore. Sin da oggi occorre smascherare numerosi eufemismi e dichiarazioni attenuanti che hanno come unico scopo quello di nascondere le intenzioni reali. Occorre controbattere agli sforzi che mirano a minare sistematicamente l'indipendenza e la neutralità della Svizzera. La missione dell'ASNI Signore e signori, la nostra associazione ha come missione e obiettivo di salvaguardare l'indipendenza e la neutralità. E questo rimane il nostro unico scopo. Non cesso di ripetere a numerosi membri che l'ASNI non è un partito politico che si occupa anche di altre questioni. L'ASNI è un'organizzazione indipendente da qualsiasi partito politico; è una lobby che si prefigge di difendere l'autodeterminazione, l'indipendenza e la neutralità di questo Paese. Essa deve rimanere rigorosamente fedele a questo obiettivo senza disperdersi in altri argomenti. Essa deve concentrarsi sull'essenziale. È ovvio che i nostri membri sono liberi di impegnarsi in politica interna anche per altre questioni. Se l'ASNI si occupasse di tutte le questioni politiche, ci metteremmo rapidamente a litigare su argomenti di politica interna dove siamo spesso divisi. Disperderemmo inoltre le nostre forze su centinaia di progetti e giungeremmo molto indeboliti alla lotta principale. Esistono ovviamente progetti che riguardano marginalmente anche gli interessi dell'indipendenza del nostro Paese. Ciò è stato il caso, ad esempio, per la riforma del Parlamento in cui si chiedeva di introdurre un Parlamento professionale, ciò che sarebbe stato fatale sul piano della politica estera, ma non avrebbe messo in pericolo l'indipendenza. All'epoca abbiamo sostenuto attivamente quest'azione con la raccolta di firme, ma non siamo stati capofila della campagna. Lo stesso discorso è valso per i segretari di Stato, progetto che abbiamo ampiamente combattuto senza però assumerci la responsabilità, in quanto esso avrebbe certamente favorito l'attivismo sul piano della politica estera, ma l'indipendenza del nostro Paese non ne era minacciata direttamente. Abbiamo inoltre partecipato anche alla lotta contro gli abusi in materia di diritto d'asilo, ma non ci siamo battuti in primo piano. Il Comitato ha quindi deciso di partecipare alla raccolta delle firme a favore della nuova iniziativa popolare per la lotta contro gli abusi in materia di diritto d'asilo lanciato da un comitato indipendente da qualsiasi partito politico e dall'Unione democratica di centro. Parteciperemo anche a varie azioni di lotta contro la Fondazione della solidarietà. Un altro progetto che abbiamo combattuto, anche se non in prima fila, è stato quello relativo ai caschi blu. Nel corso della recente votazione sulla nuova Costituzione federale, l'ASNI aveva formulato le condizioni per una revisione della Costituzione. L'apposita commissione ha dato seguito a tutte le nostre condizioni. Ciononostante, la nuova Costituzione federale rimane un cattivo progetto. Io, personalmente, l'ho respinto, ma l'ASNI non ha pubblicato al riguardo nessun invito particolare, in quanto la questione non rientrava nel settore d'attività prioritario della nostra associazione. I nostri compiti Quest'anno dovremo decidere se lanciare il referendum contro i progetti relativi alla libera circolazione delle persone e all'accordo sul traffico stradale. Questa decisione sarà presa in autunno. Organizzeremo eventualmente un'Assemblea generale straordinaria. Signore e signori, torno a ripetere che il nostro compito è quello di lottare contro tutte le basi costituzionali e legali dirette contro la Svizzera e la sua indipendenza, neutralità e autodeterminazione. Ecco perché abbiamo combattuto all'epoca contro l'adesione all'ONU, contro l'adesione al SEE, contro i caschi blu, contro la riforma del Parlamento e dell'Amministrazione con numerosi segretari di Stato e contro una Svizzera senza aerei militari. In definitiva abbiamo impedito a titolo preventivo un'adesione all'UE: se all'epoca il progetto del SEE fosse stato adottato e se non daremmo prova di essere vigili, è da tempo che il Parlamento e il Consiglio federale avrebbero condotto la Svizzera nell'UE passando per la porta principale o per la porta di servizio. In altri termini: ora i cittadini svizzeri starebbero peggio, mentre la Svizzera conterebbe un maggior numero di disoccupati e di persone che vivono al di sotto del minimo esistenziale. Gli Svizzeri sarebbero stati privati della loro libertà, pagherebbero imposte più elevate, percepirebbero salari più bassi e lascerebbero ad altri il compito di decidere sul proprio avvenire. Signore e signori, affrontiamo il futuro con la stessa decisione. Dobbiamo attrezzarci per opporci con successo nei prossimi anni agli attacchi sferrati contro una Svizzera libera e indipendente. Ciò significa concretamente, opporci con decisione a un nuovo tentativo di aderire all'ONU politica, all'adesione all'Unione europea, all'adesione alla NATO, all'invio all'estero di truppe svizzere armate. Occorre inoltre prendere posizione contro una dottrina nebulosa all'insegna di una difesa internazionalista che accondiscende i sogni di grandezza di politici e militari di alto rango. In futuro dovremo dire chiaramente no a una condotta benevole in cui ci adeguiamo agli altri. Diciamo sì a una Svizzera libera, indipendente, democratica e sicura di sé. Recentemente un professore esperto mi ha rivolto la seguente domanda: "Signor Blocher", ha detto, "l'art. 185 cpv. 1 della Costituzione federale prevede che il Consiglio federale prenda i provvedimenti necessari per salvaguardare la sicurezza esterna, l'indipendenza e la neutralità della Svizzera. La vecchia Costituzione prevedeva qualcosa di analogo All'art. 166 del Codice penale si legge inoltre che chi agisce in modo tale da violare o mettere in pericolo l'indipendenza della Confederazione o che mira all'ingerenza di una potenza straniera negli affari della Confederazione mettendo in pericolo l'indipendenza della stessa, viene punito con reclusione o carcere da uno a cinque anni! Vede, signor Blocher, dove vanno rinchiusi i nostri politici?", ha concluso il giurista. Vi rendete conto di quanto sia importante il nostro compito?

07.05.1999

Unsere vier Kinder sind auf der richtigen Spur

Interview mit CASH vom 7. Mai 1999 Christoph Blocher über seine Nachfolge bei der Ems-Chemie, seine Bücher schreibenden Geschwister und über die erste Pflicht der Politik, Nein zu sagen Christoph Blocher startet mit neuem Schub in die Spätphase seiner Karriere. CASH sprach mit ihm über seine Familie, die Nachfolge bei der Führung der Ems-Chemie, über seine Wirtschaftspolitik und über Antisemitismus. Interview: Markus Gisler, André Kienzle Herr Blocher, Sie werden nächstes Jahr sechzig Jahre alt. Wie lange bleiben Sie noch CEO der Ems-Chemie Holding? Christoph Blocher: Ich bin daran, über die Nachfolgeregelung nachzudenken. Was kommt dabei heraus? Blocher: Ich habe vier Kinder. Die Älteste, 29 Jahre alt, hatte ihr Ökonomiestudium vor vier Jahren abgeschlossen, arbeitete dann für die amerikanische Firma Johnson & Johnson und leitet heute das Marketing bei Rivella. Der Sohn, 28, schliesst demnächst seine Dissertation als ETH-Chemiker ab, verdient danach noch den Hauptmann ab und steigt dann ebenfalls in die Wirtschaft ein. Die jüngere Tochter, 24, steht vor dem Abschluss des ETH-Studiums, und die Jüngste, 22, studiert ebenfalls Ökonomie. Sie sehen: Unsere Kinder sind auf der richtigen Spur. Ob sie das Unternehmen auch führen können oder wollen, wird man in den nächsten zwei Jahren besser sehen. Wir spüren, Sie wollen Ihr Unternehmen in der Familie behalten. Blocher: Natürlich. Das geht wohl jedem Vater so. Erzwingen will ich nichts, aber wenn ich sehe, dass es geht, dann ja. Zumindest die Berufsrichtung meiner Kinder stimmt. Keines studiert Psychologie oder Altphilologie, keines sagt: "Nur ja nichts mit Wirtschaft zu tun haben!" Das wäre wohl ganz grässlich für Sie? Blocher: Gar nicht. Ich selber hätte sehr gerne gehabt, wenn ein Kind zum Beispiel Geschichte studiert hätte, aber dann könnte es nicht ins Unternehmen einsteigen. Jetzt ist alles möglich: alle vier Kinder oder nur eins oder zwei oder drei - oder gar keines. Nachfolgeregelungen sind ja vor allem auch Erbschaftsfragen. Blocher: Wenn ich heute sterben würde, müsste die Familie 180 Millionen Franken Erbschaftssteuern bezahlen. Das könnte sie gar nicht, ohne einen Teil des Unternehmens zu verkaufen. Deshalb muss ich eine klare Lösung finden. Wenn die Kinder alle nicht in Frage kommen - was sein kann - , dann lautet die Frage: Behält man die Mehrheit des Unternehmens in der Familie und ein Dritter führt es, oder müsste - was ich nicht möchte - das Unternehmen verkauft werden. Diese Themen diskutieren Sie auch mit Ihren Kindern. Was sagen sie dazu? Blocher: Wir haben keinerlei Hemmungen, über die Nachfolgefrage zu reden. Bis jetzt war der Tenor immer: Hör zu, Vater, wir sind selbst wer. So haben wir sie auch erzogen, nach Selbstverantwortungsprinzipien. Keines erhält ein Auto, bis es selber verdienen kann. Mein Sohn musste bis 27 darauf verzichten. Zahlen Sie ihm wenigstens die Ausbildung? Blocher: Seit er Halbtagsassistent ist, zahlt er alles selber. Nicht, dass ich geizig wäre, ich sagte meinen Kindern aber immer: Man muss das Leben selber gestalten, ich sorge für eure Ausbildung bis zum Abschluss, ohne Luxus, nachher steht ihr auf euren eigenen Beinen. Stolz und unabhängig von mir. Aber wenn Sie morgen unter das sprichwörtliche Tram kämen - was wir Ihnen natürlich nicht wünschen - was wäre dann? Blocher: Dafür ist gesorgt. Dann läuft die Ems-Chemie makellos ein bis zwei Jahre weiter. In dieser Zeit muss eine Lösung getroffen werden. Mein VR-Ausschuss muss dieses Szenario nur aus der Schublade herausziehen. Wir folgern daraus: Blocher bleibt auf absehbare Zeit CEO der Ems-Chemie. Blocher: Ja. Mir geht es gesundheitlich gut, und ich habe noch genügend Kraft. Aber in den nächsten paar Jahren muss die Nachfolge geregelt werden - doch Sie sehen ja, in der Familie reift es schon. Haben Ihre Kinder eigentlich die gleiche politische Sicht wie der Vater? Blocher: In den grundsätzlichen politischen Fragen haben wir keinerlei Differenzen. Wobei ich keinen Druck ausübe. Es gibt Fragen, in denen wir nicht übereinstimmen. Während des Studiums waren die beiden Älteren ziemlich grosszügig, was staatliche Ausgaben angeht. Seit sie verdienen, sind sie sehr auf meiner Linie. Auf jeden Fall sind alle vier gegen den EU-Beitritt, was mich freut. Ich habe keinerlei Probleme mit den Kindern, keines ist bei den Sozialdemokraten gelandet - bis jetzt (lacht). Wenn Sie weiterhin als Ems-Konzernchef amten, bleibt Ihnen wohl keine Zeit, um Ihre Memoiren zu schreiben. Blocher: Das ist auch gut so. Bald alle Ihre Geschwister haben ein Buch geschrieben - nur Sie nicht, obschon im Grunde nur Sie der Inhalt sind. Blocher: Kürzlich war ein grosser deutscher Verlag bei mir und bat mich, meine Memoiren zu schreiben. Ich sagte: "Hört mir bloss auf mit dem 'Chabis'." Bevor jemand nicht hundert Jahre tot ist, lässt sich gar nicht beurteilen, ob ein Lebenswerk überhaupt von geschichtlichem Wert war. Wie beurteilen Sie diese literarische Vergangenheitsbewältigung Ihrer Geschwister? Blocher: Meine zehn Schwestern und Brüder sind sehr verschieden. Das neueste Buch von meiner ältesten Schwester (der Sozialarbeiterin Judith Giovannelli-Blocher, die Red.) fand ich interessant. Ich habe mein Elternhaus aber nicht so erlebt wie sie. Wie blicken Sie zurück auf Ihre Jugend? Blocher: Ich bin acht Jahre jünger - in der Jugend ein riesiger Unterschied. In meiner Erinnerung bin ich in einem sehr fröhlichen Elternhaus aufgewachsen. Weil wir so viele Kinder waren, gingen wir absolut frei von Überbetreuung durchs Leben. Als kleiner Junge wurde ich morgens vor die Türe gestellt und war mir selber überlassen. Wir trieben einen Haufen Schabernack. Ich konnte auch einen völlig unkonventionellen Lebensweg einschlagen, zuerst Bauer werden, dann studieren. Meine Schwester dagegen hatte ihr Leben lang das Gefühl, als Frau sei sie zu kurz gekommen. Sie sagt, der Vater hätte ein Mädchen nie studieren lassen. Dabei studierte eine Schwester Theologie und wurde Pfarrerin, eine andere machte die Mittelschule und wurde Lehrerin, eine absolvierte die A-Matur und wandte sich der Kunstgeschichte zu. Dieser Vater steigt aus allen Büchern als strenge, protestantisch-trockene Figur auf. Wie sehen Sie sich im Vergleich zu Ihrem Vater? Blocher: Mein Vater, ein Calvinist, war ein strenger Mann. Er war ein Freund von Karl Barth (dem Anführer des Kirchenkampfes gegen die Nationalsozialisten in Deutschland, die Red.). Die Theologie war ihm wichtig. Innerlich hat er wohl sein Leben lang darunter gelitten, dass er Pfarrer sein musste, denn er hatte sehr viele andere Interessen. Aber - und das finde ich das Grossartige an ihm - er hielt bis zum Schluss durch und blieb seiner Sache treu. Er hatte eine klare eigene Meinung, war ein geistig vielseitig orientierter Mensch, gross und hager. Er war nicht von leichter Natur, hatte oft an den Dingen zu beissen. Schon sein Vater war Pfarrer gewesen, seine Mutter eine deutsche Professorentochter. Gleichen Sie nun eher dem Vater oder der Mutter? Blocher: Meine Mutter stammt aus gesundem Säuliämter Boden, aus einer Bauern- und Ziegelbrennerfamilie, sie war klein und rundlich - ziemlich genau das Gegenteil vom Vater. Die einen Geschwister gleichen eher dem Vater, die anderen mehr der Mutter. Sie gleichen wohl eher der Mutter. Blocher: Ja, wie auch mein Bruder, der Pfarrer ist und der zu reden gibt. Meine älteste Schwester und der andere Bruder, der das Buch "Mein Bruder Christoph" geschrieben hat, gleichen mehr dem Vater. Ihre Geschwister scheinen permanent mit ihrer Jugend zu hadern. Sie auch? Blocher: Gar nicht. Für mich ist das Elternhaus abgeschlossen. Doch wenn ich das Buch meiner Schwester lese, kämpft sie mit ihren 68 Jahren noch immer damit, wie es denn gewesen wäre, wenn sie anders erzogen worden wäre. Haben die Geschwister Blocher noch Kontakt unter sich? Blocher: Solange die Mutter noch lebte, immer wieder. Jetzt beschränkt sich der Kontakt auf diejenigen, die ähnlich denken. Die anderen kennen mich eigentlich nur noch aus der Zeitung. Aber die Familie ist Ihnen wichtig. Blocher: Ja, nur habe ich jetzt meine eigene. Was bedeuten Ihnen Freunde? Blocher: Ich habe wenige Freunde, aber gute. Es sind Leute, die an meinem Leben teilnehmen und ich an ihrem, nicht solche, die nur um mich herumschwirren und mir gratulieren, wenn ich die Wahlen gewonnen habe. Meine Freunde halten auch zu mir, wenn ich in der Tinte sitze. Viele würden wahrscheinlich staunen, wenn sie deren Namen wüssten. Vertreten diese Freunde andere politische Haltungen? Blocher: Es sind keine Leute aus dem politischen Vordergrund. Sie würden politisch wohl ganz anders eingestuft als ich. Auch ich habe ganz andere politische Stärken, als allgemein behauptet wird. Welche denn? Blocher: Es heisst immer, dass ich gut reden könne -einer, der so redet, dass ihn das Volk versteht - , und ich könne auf die Pauke hauen. Wollen Sie etwa behaupten, dass dies nicht stimmt? Blocher: All das ist absolut belanglos. Meine Stärke ist, dass ich ein klares Konzept für die politische Arbeit habe. Also genau das Gegenteil von dem, was alle sagen: "Der hat ja nur Schlagwörter." Schlagwörter sind bei mir das Ende, nicht der Anfang. Am Anfang stehen Szenarien, Analysen und viele Diskussionen über die richtige Richtung, viele Selbstzweifel und Sorgen. Das klingt nach Arbeit in Ausschüssen. Blocher: Ich bin nicht so sehr für institutionalisierte Abläufe. Lieber im Freundeskreis zusammenhokken, diskutieren und überlegen. Ich habe aus Studienzeiten viele Freunde, die im Hintergrund an politischen Fragen herumdenken. Ergo gibt es so etwas wie einen geheimen Ausschuss in der SVP! Blocher: Aber nicht in festen Ausschüssen, sondern in abendfüllenden Gesprächen und langen Telefonaten. So eine Albisgütli-Rede wird monatelang vorbereitet. Das Problem nicht institutioneller Abläufe heisst: Wer steuert sie? Blocher: Da kommt meine zweite Stärke: die Durchsetzung. Ich leiste jetzt seit 22 Jahren Knochenarbeit als Präsident der zürcherischen SVP. Ich sitze mit Fraktionen zusammen, streite, überzeuge, sage, wie man es machen sollte bis zum Befehl an die Ortssektionen runter: "Hängt mal die Plakate auf!" - Und wenn die Wahlen vorbei sind: "Jetzt hängt sie wieder ab." Ihre Devise lautet folglich: Wie in der Wirtschaft braucht es auch in der Politik einen Chef, und der sind Sie. Blocher: Ich bin es nicht allein, aber ich bin der Präsident, ich schaue dass ich einen Sekretär und Leute habe, die vorwärts machen, ich suche die richtigen Köpfe aus. Ich schaffe ein Klima, damit die Regierungsräte gewählt werden können, die fähig sind und nicht einfach nach dem Freundschafts- und Anciennitätsprinzip obenauf schwingen. Das ist meine Stärke. Nicht gut reden. Ich kann gar nicht gut reden. Sie führen die Partei wie Ihr Unternehmen. Beherrschen Sie sie auch wie Ihr Unternehmen? Blocher: Es gibt Leute, die sagen: Die SVP hat nur einen, den Blocher. Wer das sagt, hat keine Ahnung. Klar: Wenn einer vorne stark zieht, dann treten die anderen weniger in Erscheinung. Wir haben im Übrigen sehr gute Köpfe. Christoph Mörgeli hat mit seiner Vorrede vor dem Bundesrat am Ustertag in zehn Minuten alles in den Schatten gestellt. Der hat intellektuelle Substanz. Man sagt, er könnte Ihr Nachfolger sein. Blocher: Zum Beispiel. Dann Ruedi Ackeret, Ersatzbundesrichter und Präsident unserer Programmkommission - sein SVP-Programm stellt in der Substanz die Programme aller anderen Kantonalparteien in den Schatten. Und dann hat es halt auch Bauern und Gewerbler, die bringen ihre vernünftige Meinung ein und halten eine klare Linie durch. Es können nicht alle Chefnaturen sein, die vorne stehen, davon braucht es immer nur ein paar. Erhebt die SVP jetzt den Anspruch, die Wirtschaftspartei der Schweiz zu sein? Blocher: Ich stelle keinen solchen Anspruch. Mir wäre es am liebsten, wenn die SVP überflüssig würde, weil die anderen Parteien die richtige Politik vertreten, nämlich weniger Steuern, Abgaben, Gebühren, einen Staat, der dem Bürger weniger wegnimmt, in dem die Wirtschaft sich entwickeln kann, einen Staat mit weniger Gesetzen und Bürokratie. Parteien mit der Kraft, zu all den ungebührlichen Ansprüchen Nein zu sagen, die sich weigern, uns in den EU-Bürokratismus zu führen. Parteien, die sagen: Dieses drückende Asylproblem wird jetzt gelöst, statt nur immer zu begründen, warum man es nicht lösen könne. Wenn die anderen das endlich machen würden, wären wir ja überflüssig. Sind Sie primär Unternehmer oder Politiker? Blocher: Das Unternehmen muss vorgehen. Das entspricht meinem konservativen Wertbild. Der Mensch muss zuerst schauen, dass er für sich über die Runden kommt. Schafft er das, kann er auch für eine Familie sorgen. Schafft er etwas mehr, kann er als Unternehmer für ein Unternehmen sorgen, und wenn er noch Reserven hat, kann er daneben im Milizsystem für die Politik im Lande sorgen - dann ist es langsam fertig. Wenn ich im Unternehmen keine Ordnung mehr halten könnte, müsste ich aus der Politik aussteigen. Für viele Bürgerinnen und Bürger sind Sie der mächtigste Schweizer. Blocher: Ich empfinde dies nicht so, wobei ich zugebe, dass meine Unabhängigkeit als Unternehmer eine meiner Stärken ist. Ich darf immer sagen, was ich will, mir kann praktisch nichts passieren. Meine Kunden befinden sich vor allem im Ausland, die sagen nicht: Jetzt kaufen wir bei dem nichts mehr. Genau so funktioniert es aber in den CVP-Kantonen. Schert einer aus, werden ihm die Aufträge gestrichen. Ihre Gegner bezeichnen das nicht als Ihre Stärke, sondern als Schizophrenie. Der Politiker Blocher predigt den Alleingang gegen die EU, doch als Unternehmer ist er in Europa längstens integriert. Blocher: Das ist ein idiotisches Argument. Überlegen Sie mal: Ich habe doch nicht die geringste Mühe, in den USA 15 Prozent meines Umsatzes zu erzielen, ohne gleich zu fordern, die Schweiz müsse den Vereinigten Staaten beitreten. Ich bin überhaupt nicht für eine geschlossene, isolierte Schweiz - weder politisch, wirtschaftlich noch kulturell. Ich bin sehr froh, dass meine Kinder während der Schulzeit ihre Austauschjahre machten und in die Welt hinausgingen. Aber ich bin völlig dagegen, dass wir uns in ein Grossgebilde einbinden lassen, in dem wir unser Schicksal nicht mehr selber bestimmen können. Die Vereinigten Staaten von Amerika funktionieren einwandfrei. Warum sollte ein vereinigtes Europa als mächtiger Wirtschaftsblock nicht ebenso einwandfrei funktionieren? Blocher: Europa ist nicht gleich USA. Die Amerikaner haben nur eine Sprache und ziehen im Schnitt alle sechs Jahre um - die sind flexibel. Wenn im Silicon Valley Hochkonjunktur ist, ziehen sie nach Kalifornien, wenn es in Ohio gut läuft, zügeln sie dorthin. Aber dass die Deutschen wegen eines konjunkturellen Rückgangs nach Spanien umziehen - das können Sie vergessen. Das ist auch gar nicht nötig. Blocher: Es ist aber die ökonomische Idee: Wenn Europa eine Einheitswährung hat, unter der die Länder ihre Konjunkturen nicht mehr mit einer eigenen Geldpolitik steuern können, dann werden die Konjunkturunterschiede nur über den freien Personenverkehr ausgeglichen. Das funktioniert jedoch nicht. Der Europäer bleibt einfach in der Arbeitslosigkeit. Darum diese hohe Arbeitslosigkeit in Europa, das ist doch leicht zu begreifen. Die Europäer müssen nicht so mobil sein wie die Amerikaner, weil sie eine bessere Arbeitslosenversicherung haben. Wollen Sie etwa die ALV abbauen, um grössere Mobilität zu erzwingen? Blocher: Das ist politisch nicht durchsetzbar, auch wenn es Flexibilität erzeugen würde. Die Amerikaner haben es gemacht und die Fristen für den ALV-Bezug gekürzt. Doch ich sage nicht, was die EU tun oder lassen soll, sondern es geht mir um die Schweiz. Für die Schweiz wäre es falsch, in die EU zu gehen und der EU nützt es auch nichts, ausser dass dann noch ein weiteres Land EU-Beiträge bezahlt. Wird die SVP gegen die bilateralen Verträge das Referendum ergreifen? Blocher: Diese Frage ist im Herbst zu entscheiden. Ich halte die Verträge für schlecht. Die EU stellte sich auf den Standpunkt: Wenn die Schweiz künftig in die EU will, kann sie die Nachteile davon heute schon übernehmen. Und das hat man hier leichtfertig geschluckt. Ob man die Verträge deshalb aktiv bekämpfen soll, bleibt zu sehen. Denn die Frage ist ja, was denn die Konsequenz aus einem Volksnein zu den bilateralen Verträgen wäre. Ein Bundesrat würde deswegen in der Schweiz ja sicher nicht zurücktreten. Dann verhandeln einfach die Gleichen nochmals. Wenn sich Ihr jüngster Erfolgstrend in den Nationalratswahlen im Herbst fortsetzt, steht Bern ein Erdrutsch bevor. Blocher: Zuerst mal darf man diesen Wahlerfolg nicht überschätzen. Im Grunde genommen ist nichts passiert, ausser dass die SVP in fünf Kantonen einen Stimmenzuwachs erzielte. Das Ausmass ist wahrscheinlich einer glücklichen Konstellation zuzuschreiben. Vor allem der Kosovo-Krieg hat unsere Asylpolitik, das Festhalten an der Neutralität und unseren Kampf gegen den Einsatz bewaffneter Truppen im Ausland aktualisiert und gezeigt, dass unsere über Jahre verkündete Politik richtig ist. Einen gesamtschweizerischen Erdrutsch werden wir im Herbst deswegen aber nicht auslösen. Mein Ziel ist, die grösste Partei des Kantons Zürich zu bleiben, vielleicht gibt es ein Mandat mehr. Erzählen Sie uns einmal Konkretes aus Ihrem Wirtschaftsprogramm. Blocher: Ich setze mich massiv für eine bessere Ordnungspolitik ein. Wir müssen endlich aufhören mit dieser Flut von neuen Gesetzen und der zunehmenden Bürokratie. Im Baubereich ist das so, jetzt beginnt es im Bildungsbereich bei den Fachhochschulen. Es muss ein Ende haben mit der ständigen Erhöhung der Staatsquote über Steuern, Gebühren, Abgaben. Das leidige Krankenversicherungs-Gesetz muss man aufbrechen - weg von der obligatorischen Krankenversicherung. Doch stattdessen kommt die Mutterschaftsversicherung - wieder eine neue Zwangsversicherung. Ordnungspolitik heisst bei Ihnen offensichtlich Nein sagen. Blocher: Der renommierte liberale Ökonom August von Hayek sagte: "Die wichtigste Aufgabe in der Politik ist Nein zu sagen gegen die Begehrlichkeiten an den Staat." Heute wird jedoch eine mehr oder weniger sozialistische Politik betrieben, deren Grundsatz lautet: Mehr Geld wegnehmen und umverteilen. Das vernichtet unsere Arbeitsplätze. Würden Sie Abstriche am bestehenden staatlichen System verlangen? Blocher: Wir sind für Steuersenkungen, das wäre der Anfang. Weniger Einnahmen bedeutet auch weniger Ausgaben. Welche würden Sie zuerst streichen? Blocher: Zuerst würde ich mal das Volksvermögen richtig bewirtschaften. Die Nationalbank, der AHV-Fonds, die Suva - sie müssen mal nachzählen, wie viel Klotz da sinnlos herumliegt, da kann man fast nicht zusehen. Da wären bei einer intensiven Bewirtschaftung jährlich hunderte Millionen herauszuholen. Zweitens müsste der Staat eine Menge seiner ungenutzten Vermögen verkaufen und wäre mehr in die Miete zu ziehen. Was allein die SBB für Grundstücke besitzt - und überhaupt nicht bewirtschaftet. Welche weiteren konkreten Schritte schlagen Sie vor? Blocher: Zweitens sind die Ausgaben zu kürzen, zum Beispiel die Milliarde für das Asylwesen. Wohlgemerkt: Es geht dabei nicht um eine Geldkürzung für die Flüchtlinge, sondern für diesen Leerlauf in der Asylbürokratie, die sowieso 90 Prozent aller Asylanträge ablehnt. Dann bin ich für die Abschaffung des Obligatoriums zur Krankenversicherung. Das ist sehr wichtig. Gerade die schlechter Verdienenden würden zuerst an der Krankenversicherung sparen. Und gerade die geraten in Existenznot, wenn sie sich ein Bein brechen. Was macht Ihr Staat mit denen? Blocher: Ihrer nimmt sich die Fürsorge an. Heute existiert einfach für alle eine Zwangsversicherung mit einem sehr hohen Leistungsangebot. Der Grundsatz soll sein: mehr Selbstverantwortung. Würden Sie die Fürsorge stärken? Blocher: Fürsorge heisst: Der Staat sorgt für die Notfälle. Sozialstaat heisst hingegen: Der Staat sorgt für alle, egal ob es der individuelle Fall wirklich benötigt oder nicht. Und überall hängt daran eine Verwaltung, die man ebenfalls kürzen kann. Man kann sehr viele Dienstleistungen an die Wirtschaft auslagern. Dies alles sind ordoliberale Ansätze. Dafür haben Sie die SVP. Sie haben aber auch noch die Auns. Wir sehen in der Auns Ihre Abkapselungspartei. Blocher: Die Aktion für eine unabhängige und neutrale Schweiz (Auns) ist keine Partei, sondern eine Lobby für die Unabhängigkeits- und Selbstbestimmungsinteressen in unserem Land. Vor allem hat es in der Auns aber zahlreiche rechtsextreme Exponenten, die einen Schatten auf Ihren Ruf werfen. Blocher: Das stimmt nicht. Wir hatten zwei, drei solche Rechtsextreme, die haben wir ausgeschlossen. Natürlich hat es auch einige Anhänger der Schweizer Demokraten drin, mit denen uns die Unabhängigkeit und die Neutralität verbinden. Was ist für Sie eigentlich ein Rechtsextremer? Blocher: Jemand mit einem übersteigerten Nationalitätsbewusstsein, für den alle anderen Nationen nichts wert sind. Das gilt bei uns nicht. Aber wir sagen, dass wir die Souveränität in unserem Land nicht aufgeben. Ich verkehre mit meinen Nachbarn auf der Basis gegenseitiger Achtung, aber wir ziehen deshalb trotzdem nicht alle in ein und dasselbe Haus. Der Rechtsextreme jedoch sagt: Alle Nachbarn sind minderwertige Kerle, die man ausmerzen muss. Es geht uns nicht primär um diesen krankhaften Nationalismus gegen die Nachbarhäuser, sondern viel mehr um den Rassismus und den Antisemitismus im Innern des Hauses Schweiz. Blocher: Bis zu der Affäre mit dem World Jewish Congress (WJC) habe ich in der Schweiz keinen Antisemitismus festgestellt, mit Ausnahme von ein paar Spinnern. Auch in der Auns nicht. Nachher fingen leider auch in der Schweiz gewisse Leute an, einzelne Juden zu verunglimpfen und alles zu verallgemeinern - sie setzten den WJC mit den Juden gleich. Ich habe stets davor gewarnt. Ich habe stets gesagt, ich kritisiere den Jüdischen Weltkongress, und wenn ich den kritisiere, dann nicht, weil sie Juden sind. Kürzlich schrieb mir jemand, ich würde Ursula Koch nur kritisieren, weil sie jüdisch sei. Das ist doch dummer Mist. Ich kritisiere sie, weil sie eine sozialistische Politik betreibt, und zwar eine himmeltraurige. Im Übrigen bin ich für eine offene Diskussion. Man sollte offen über diese Probleme sprechen. Sie selber äusserten sich aber noch nie klar zum heiklen Thema Rassismus und Antisemitismus. Deshalb haftet Ihnen in den Augen vieler Schweizer, die in politischen Sachfragen mit Ihnen durchaus übereinstimmen könnten, ein Geruch des Rassismus und Antisemitismus an. Blocher: Wie kommen Sie auf die Idee, dass ich ein Antisemit sein könnte? Sagen Sie mir das mal! Weil ich klar Stellung bezogen habe gegen dieses erpresserische Manöver von Seiten des WJC, wird mir das unterschoben. Die Antisemitismus-Bedenken gegenüber Ihrer Adresse sind aber viel älter als die WJC-Debatte. Blocher: Das höre ich zum ersten Mal. Ich trat gegen die Erpressungen des WJC an. Wie viele sagten mir, wir tun es nicht, sonst gelten wir als Antisemiten. Da war bei mir der Zapfen ab. Wenn jeder nur seine reine Weste sucht, kann man mit dem Antisemitismus-Vorwurf jeden politisch mundtot machen - aber mich nicht! Deshalb nannte ich die Dinge beim Namen: Nicht weil, sondern obwohl sie Juden sind, trete ich gegen die erpresserischen Manöver an. Sie reagieren heftig. Wollen Sie kein Rassist und Antisemit sein? Blocher: Ich bin keiner und der Vorwurf ist verletzend. Und dennoch gab es bisher noch nie eine programmatische Rede von Christoph Blocher über Rassismus und Antisemitismus. Wann klären Sie diese uralte Frage endlich? Blocher: Rassismus und Antisemitismus sind nicht das Hauptproblem der Schweiz. Da tut man den Schweizern Unrecht. Wir glauben allerdings nach Treu und Glauben beobachten zu können, dass sowohl die Rassismus- als auch die Antisemitismus-Bedenken seit einer ganzen Dekade über Ihnen und der SVP schweben. Blocher: Das ist eine bösartige Unterstellung. Lesen Sie alle meine Reden, Vorträge und Interviews. Es sind ausschliesslich meine politischen Gegner, die den Antisemitismus-Vorwurf benützen, um mich mundtot zu machen. Sie merken, dass mich das trifft, denn ich bin auf keinen Fall ein Antisemit. Antisemitismus finde ich etwas Furchtbares. Ich weiss, wovon ich rede: Mein Vater war Mitglied der bekennenden Kirche von Karl Barth (siehe oben, die Red.). Erpressungen muss man jedoch grundsätzlich entgegentreten, auch wenn sie vom WJC kommen.

23.04.1999

Volksvermögen für die AHV

Gold-Initiative: Christoph Blocher will Goldreserven nicht der Solidaritäts-Stiftung geben Interview mit der Aargauer Zeitung vom 23. April 1999 Das Nationalbankgold will er nicht in die Solidaritätsstiftung einzahlen. Christoph Blocher, Zürcher SVP-Nationalrat, will mit einer von der Delegiertenversammlung abzusegnenden Volksinitiative dafür sorgen, dass dieses "Volksvermögen" beim Volk bleibt und in den AHV-Fonds fliesst. Mit Ihrer Initiative wollen Sie das Nationalbank-Gold zugunsten der AHV sichern. Wollen Sie damit die AHV sanieren, oder ist die Idee aus der Opposition gegen die bundesrätliche Solidaritätsstiftung geboren? Blocher: Ich will das Volksvermögen, das in der Nationalbank liegt, wieder dem Volk zuführen. Man könnte dieses Geld dem Volk auch direkt verteilen. Dann würde jeder Schweizer und jede Schweizerin vom Briefträger 3000 Franken erhalten. Wir möchten das Geld aber in den AHV-Fonds legen. Damit ist die AHV besser gesichert, und die Lohnabhängigen müssen weniger Lohnabzüge hinnehmen oder weniger Mehrwertsteuern bezahlen. Demzufolge stimmt der Vorwurf nicht, Sie würden die Initiative aus Opposition zur Solidaritätsstiftung lancieren? Blocher: Wir sind nicht für die Solidaritätsstiftung. Sie ist Ausdruck einer erpressten Situation. So verschleudert man Volksvermögen in eine Einrichtung, durch die man jedes Jahr neu unter Druck gesetzt werden kann. Die SP will das Nationalbank-Gold je zur Hälfte für die AHV und für die Solidaritätsstiftung verwenden... Blocher: Unsere Idee muss offensichtlich gut sein, sonst würden wir jetzt nicht von der SP kopiert. Allerdings machen sie es nur halbbatzig. Weshalb nicht alles Geld in die AHV - hat der AHV-Fonds denn zuviel Geld? Bei der 11. AHV-Revision will der Bundesrat auf 500 Millionen für eine grosszügige Renten-Flexibilisierung verzichten. Eilen Sie jetzt mit diesen Gold-Millionen wie der Ritter in strahlender Rüstung der angeschlagenen Sozialministerin zu Hilfe? Blocher: Selbst mit der vom Bundesrat vorgeschlagenen 11. AHV-Revision hat der AHV-Fonds jetzt zuwenig Mittel, um die Renten auszuzahlen. Wir müssten diesen Fonds auch dann verstärken, wenn wir die AHV nicht revidieren würden. Je mehr Mittel wir aus den Goldreserven einlegen können, desto kleiner werden Lohnabzüge und Mehrwertsteuerprozente. Die AHV steht 1998 mit 1,4 Milliarden in der Kreide. Da reichen Ihre Goldmillionen zur Sanierung aber auch nicht aus? Blocher: Wir haben bei der Nationalbank zu hohe Goldreserven in der Höhe von über 20 Milliarden. Man könnte sogar noch weitere Milliarden, die nicht benötigt werden, in den AHV-Fonds legen. Wenn man aber diese 20 Milliarden klug anlegt, reicht das Geld aus, um den aktuellen Fehlbetrag von 1,4 Milliarden zu decken. Selbst wenn man diese 20 Milliarden in homöopathischen Dosen veräussert und den Erlös von 300 bis 400 Millionen in die AHV steckt? Blocher: Bei 20 Milliarden bleiben nicht nur 300 Millionen jährlich als Gewinn. Ein Blick auf die Renditen der letzten Jahre der Pensionskassen zeigt, dass daraus 1,5 bis 2 Milliarden jährlich resultieren könnten, wenn dieses Geld richtig angelegt ist. Das entspricht fast einem Lohnprozent. Wo und wie würden Sie die AHV sanieren, damit auch künftige Generationen ihren Rentenbatzen haben werden? Blocher: Wir müssen eine Wirtschaftspolitik betreiben, die zu einer hohen Beschäftigung in der Schweiz führen wird. Das heisst weniger Gesetze, Steuern, Abgaben und Gebühren. Dann wird die Schweiz sehr attraktiv, und sowohl Wirtschaft wie auch Bürger werden trotz tieferen Steuersätzen wieder mehr Steuern zahlen. Also nicht bei der AHV sparen... Blocher: Nein. Wir müssen die AHV, wie sie sich heute darstellt, konsolidieren. Wir dürfen sie aber nicht ausbauen, weil die Leute so etwas nicht bezahlen können. Ist nicht zu befürchten, dass neue Begehrlichkeiten geweckt werden, wenn plötzlich Jahr für Jahr Millionen auf dem Tisch liegen? Blocher: Natürlich; solche Begehrlichkeiten müssen jedoch strikte abgelehnt werden. Im Sozialversicherungsbereich sind gegenläufige Tendenzen auszumachen: Politiker fordern Einsparungen; faktisch werden die Leistungen aber in vielen Bereichen ausgebaut. Heizen Sie mit dieser Gold-Initiative letztere Tendenz nicht noch an? Blocher: Nein. Wenn man für die AHV kein Geld benötigen würde, müsste das überschüssige Nationalbankgold direkt an die Bürger verteilt werden. Das ist aber nicht der Fall. Wir müssen das grosse Loch im AHV-Fonds stopfen. Die Gefahr besteht hingegen tatsächlich dort, wo man Goldreserven bereits via Solidaritätsstiftung verteilt, bevor man sich darüber einig geworden ist, was man überhaupt damit machen soll. Nicht zuletzt deshalb hat man den amerikanischen Kreisen noch in derselben Nacht die Stiftungsidee in englischer Sprache mitgeteilt und so Begehrlichkeiten geweckt. Dagegen wehren wir uns. Das Volksvermögen gehört dem Volk. * * * Zur Sache: Die Volksinitiative der SVP "Die Schweizerische Nationalbank überträgt aus ihrem Bestand die für geld- und währungspolitische Zwecke nicht benötigten Währungsreserven, beziehungsweise deren Erträge auf den Ausgleichsfonds der Alters- und Hinterlassenenversicherung." Mit dieser Neuerung soll nach Ansicht der Schweizerischen Volkspartei (SVP) die Verfassung ergänzt werden. Dies einerseits, weil heute eine "erhebliche Kluft" zwischen festgeschriebener und tatsächlich gelebter Währungsordnung bestehe. Mit dem Bundesrat ist auch die SVP einig, dass die Goldbindung des Schweizer Frankens aufzuheben sei. Dadurch könnten 1300 Tonnen Gold neuen Verwendungszwecken zugeführt werden. Während der Bundesrat 500 dieser 1300 Tonnen in eine Solidaritätsstiftung investieren wollte, wurde auf Antrag der Zürcher SVP an einem Parteitag im Mai 1998 in Aarau beschlossen, dieses Geld der AHV zu erschliessen. An der Delegierten-Versammlung in Schwyz soll jetzt eine entsprechende Volksinitiative abgesegnet werden, nachdem die parlamentarischen Möglichkeiten ergebnislos ausgeschöpft wurden.

15.04.1999

Wir müssen so viele Truppen schicken, wie es braucht!

Blocher bricht nach drei Abstimmungsniederlagen - LSVA, Neat-Finanzierung, Hauseigentümerinitiative - sein Schweigen. Interview mit der "Basler Zeitung" vom 15. April 1999 Nach einer Schweigepause meldet sich SVP-Nationalrat Christoph Blocher zurück. Er fordert den Schluss der Bombardements und einen Grosseinsatz von unbewaffneten Schweizer Hilfstruppen im Kosovo-Konflikt. Zugleich kritisiert er die Rettungsaktion von Ruth Dreifuss - und attackiert die geplante Solidaritätsstiftung aufs Gröbste. Interview: Catherine Duttweiler und Pierre Weill Herr Blocher, was geht Ihnen durch den Kopf, wenn Sie die Bilder der Kosovo-Flüchtlinge sehen? Christoph Blocher: Dieser Konflikt ist entsetzlich. Das kommt davon, wenn eine Seite einen Bodenkrieg und die andere Seite einen Luftkrieg mit sinnlosen Bombardierungen führt - dann fliehen die Menschen. Wie hätten Sie versucht, den Konflikt zu lösen? Blocher: Man hätte diese Bombardierungen nicht durchführen dürfen. Denn die Nato und die USA, die in der Lage wären, diesen Krieg zu führen, sind nicht wirklich bereit dazu. Ich verstehe dies, denn einen Krieg dort zu führen und zu gewinnen heisst, dass man unglaubliche Menschenopfer erbringen muss, und zwar auf beiden Seiten. Die Serben sind dazu bereit, aber die Nato-Staaten wollen diese Opfer nicht erbringen. Wenn man dazu nicht bereit ist, kann man eigentlich nur töten - wie dies jetzt der Fall ist. Sie würden die Bombardierungen also einstellen? Blocher: Es ist schwierig zu sagen, ob es jetzt richtig wäre, aufzuhören und einen Waffenstillstand zu schliessen. Ich würde meinen, ja. Man sollte Russland entgegenkommen, das Friedensbemühungen unternimmt. Die Amerikaner haben die Nato aktiviert, weil ein Vorstoss bei der UNO durch das Veto der Russen und der Chinesen blockiert worden wäre. Die USA haben Russland tief gedemütigt. Damit haben die USA den Russen gezeigt, dass ihr Land keine Weltmacht mehr ist. Einen Schwachen aber sollte man nie demütigen. Wo kann die Schweiz helfen, angesichts des riesigen Flüchtlingselends? Blocher: Noch nie ist in den letzten zehn Jahren die Neutralität so im Vordergrund gestanden. Diese wäre jetzt ganz wichtig. Leider werden wir als Neutrale nicht mehr ganz ernst genommen, weil der Bundesrat dauernd seine Sympathien in Erklärungen ausdrückt. Es gibt nichts als die humanitäre Hilfeleistung. Das heisst, man muss unverzüglich für die Kriegsflüchtlinge sorgen. Allerdings nicht, indem man sie hier integriert! Sondern? Blocher: Kriegsflüchtlinge müssen unverzüglich aufgenommen werden in Flüchtlingslagern. Für ihre primitivsten Bedürfnisse muss gesorgt werden: Essen, Trinken, ein Dach über dem Kopf. Wir verfügen in der Schweiz über Formationen, die derartige Hilfe leisten könnten, beispielsweise unsere Betreuungseinheiten. Die Schweizer Armee soll also ganze Einheiten ins Grenzgebiet entsenden, anstelle der drei Superpumas? Blocher: Jawohl, wenn es nötig ist. Wir müssen so viele unbewaffnete Truppen schicken, wie es braucht. Drei Pumas können nicht genügen. Katastrophenhilfe durch Truppen eines neutralen Staates ist glaubwürdig, denn es gibt immer Flüchtlinge auf beiden Seiten, auch bei den Serben. Sie beharren darauf, dass die Hilfstruppen unbewaffnet sind. Die Schweizer Festungswächter, die bereits im Krisengebiet weilen, sind zum eigenen Schutz leicht bewaffnet, aber Piloten und Mechaniker der Superpumas müssen von ausländischen Soldaten beschützt werden. Das ist doch absurd! Blocher: Nein. Was heisst Selbstschutz? Es ist eine romantische Vorstellung, wenn man glaubt, eine Pistole genüge. Wenn sie selber eine Pistole mitnehmen, dann hat der Angreifer schwere Waffen, dann müssen sie Schützenpanzer haben und so weiter. Die Amerikaner sagen heute eindeutig: "Humanitärer Einsatz und Intervention mit bewaffneten Truppen decken sich nicht." Was soll mit jenen Flüchtlingen passieren, die innerhalb der nächsten Wochen in die Schweiz einreisen, etwa weil sie hier in der Schweiz Verwandte haben? Blocher: Grundsätzlich sollen diese Flüchtlinge in Lagern untergebracht werden. Wenn man sie genau registriert und es wirklich Familien gibt, die sie privat aufnehmen wollen, wäre ich einverstanden, dass sie später privat untergebracht werden. Aber wir dürfen sie nicht integrieren! In der Schweiz glaubt man, wir müssten den Flüchtlingen in einer Woche Deutsch lehren und sie in die Schule schicken. Dabei dürfen wir keinerlei Anstrengungen unternehmen, dass diese Flüchtlinge hier bleiben. Laut der Asyl-Initiative, die Sie im Februar lanciert haben, müssten vorläufig aufgenommene Flüchtlinge, beispielsweise aus dem Kosovo, interniert werden. Sie würden also von ihren Familien getrennt. Diese Forderung finden wir angesichts des grossen Elends unhaltbar. Blocher: Überhaupt nicht. Es gibt einfach keinen Rechtsanspruch für Flüchtlinge und Asylsuchende, die aus sicheren Ländern kommen, aber Flüchtlingshilfe schliesst dies nicht aus. Die Kosovo-Albaner kommen nicht aus einem sicheren Land. Ziehen Sie Ihre Initiative zurück? Blocher: (lacht) Sie können ja schreiben, er lacht, aber er sagt nichts... Wieso wehren Sie sich so gegen die Einwanderung? Die Schweiz ist überaltert. Die AHV hat Probleme. Wäre es wirklich so katastrophal, wenn jetzt junge, gut ausgebildete Leute hierher kämen? Blocher: Ich kenne kein Land, das so viele Ausländer hat wie die Schweiz. Ich wehre mich gegen eine unkontrollierte Masseneinwanderung. Ich kenne Kleinbasel nicht, aber nehmen Sie zum Beispiel Zürich, den Schulkreis Limmattal. Da sind 75 Prozent der Schüler Ausländer und in gewissen Klassen werden acht, neun Sprachen gesprochen. Wenn viele Leute kommen, die nicht ausgebildet sind und aus völlig anderen Kulturen stammen, schafft das Probleme. Diese Last tragen nicht wir, die tragen andere - auch wenn Frau Dreifuss 20 Flüchtlinge mit in die Schweiz bringt. Ich habe gedacht, sie nähme sie wenigstens zu sich nach Hause. Das ist eine eigenartige Geschichte. Würden Sie denn in Ihrer Villa einige Zimmer für Flüchtlinge räumen? Blocher: Nein, aber ich habe keine zwanzig Flüchtlinge in die Schweiz mitgenommen und mache auch keine Propaganda damit. Das wäre ja widerrechtlich. Wieso widerrechtlich? Die symbolische Aktion der Bundespräsidentin war mit den Behörden abgesprochen. Blocher: Darf die Bundespräsidentin mehr als andere Menschen? Kann ich auch auf Staatskosten ein Lager anschauen und dann zwanzig Flüchtlinge mitnehmen - um zu zeigen, dass ich ein guter Mensch bin? Es geht doch gar nicht mehr darum, dass die Flüchtlingsfrage gelöst wird. Es geht nur um die eigene reine Weste, darum, dass man sagen kann: "Schaut her, ich habe geholfen." Deshalb schickt man lächerlicherweise auch drei Pumas. Aber diesen zwanzig Menschen hat Ruth Dreifuss wirklich geholfen. Ihnen geht es jetzt besser als vorher. Blocher: Zu Lasten von anderen. Von wem? Blocher: Von allen Schweizern. Ist das nicht kleinlich? Die Schweiz als reiches Land vermag doch wenigstens einer kleinen Gruppe zu helfen? Blocher: Natürlich. Ich habe nicht gesagt, dass wir es nicht vermögen. Es geht um die Haltung, die dahinter steckt, diese Wichtigtuerei. Dreifuss kann jetzt sagen, sie habe zwanzig Leute gerettet. Dabei hat sie keinen Streich dafür getan, nicht einmal das Flugticket hat sie selber bezahlt. Sie selber hatten nie das Bedürfnis, etwas für die Flüchtlinge zu tun? Blocher: Wichtig zu tun? Nein, Hilfe zu leisten! Blocher: Wichtigtuerei, darum geht es. Ob und wo ich Hilfe leiste, ist meine Privatsache, sonst würden Sie es auch an die grosse Glocke hängen (lacht). Die Betreuung der Flüchtlinge muss finanziert werden. Könnten Sie sich vorstellen, dass diese Gelder aus der geplanten Solidaritätsstiftung für die Hilfe verwendet würde? Blocher: Dafür brauchen wir keine Solidaritätsstiftung. Dies ist nur eine weitere Heuchelaktion. Man will solidarisch sein - indem man dem Volk ein paar Milliarden Franken wegnimmt. Man nimmt dem Volk nicht Geld weg, man fragt es. Blocher: Wie fragt man es? Jetzt haben sie schon mal einen Dreh gefunden, dass keine Verfassungsabstimmung über die Solidaritätsstiftung durchgeführt werden muss. Nein, für die Unterstützung von Flüchtlingen und Asylbewerbern brauchen wir keine Solidaritätsstiftung. Die Solidaritätsstiftung soll auch im Inland Arme und Jugendliche unterstützen. Sind Sie auch dagegen? Blocher: Ich kenne diese Mätzchen. Jetzt versucht man, die Stiftung dem Volk schmackhaft zu machen. Jetzt sagt man plötzlich, das hat alles nichts mit dem Zweiten Weltkrieg, dem Holocaust zu tun. Zudem wehre ich mich dagegen, dass man Geld verteilt, das dem Schweizervolk gehört. Falls aber das Schweizervolk in einer Abstimmung der Stiftung zustimmt, entfällt dieses Argument. Blocher: Natürlich. Wenn das Schweizervolk ja sagt, bekämpfe ich die Solidaritätsstiftung nicht mehr. Aber ich werde mich vorher mit Händen und Füssen dagegen wehren. Wenn wir diese Stiftung realisieren, wird die Schweiz jedes Jahr unter Druck gesetzt werden. Wie soll die Schweiz unter Druck gesetzt werden, und von wem? Blocher: So wie sie es bisher gemacht haben. Was wollen Sie damit sagen? Der Verwendungszweck der Gelder ist genau umrissen. Blocher: Diese Gelder wurden versprochen, als die Stiftung angekündigt wurde. In derselben Nacht wurde den amerikanischen Kreisen übermittelt, was wir tun werden. Der Vizepräsident der USA hat am Weltwirtschaftsforum in Davos auf diese Stiftung gepocht. Andere Kreise pochen darauf. Es sind die gleichen, die uns sagten, wir müssten für die Wiedergutmachung für den Zweiten Weltkrieg zahlen. Es sind die gleichen. Wer denn? Blocher: Es ist der Jüdische Weltkongress. Dieser kann gar nicht mehr klagen, denn er ist Teil der Globallösung, auf die sich die Banken mit den Sammelklägern und dem Jüdischen Weltkongress geeinigt haben. Alle Beteiligten sind verpflichtet, keine weiteren Klagen zu erheben. Blocher: Sie müssen nicht mehr klagen, Druck ausüben kann man immer. Und es können auch andere Kreise Appetit bekommen. Deshalb werden wir in zehn Tagen die Lancierung einer Volksinitiative beschliessen: Wir fordern, dass die überschüssigen Goldreserven der Nationalbank nicht in die Solidaritätsstiftung, sondern in die AHV geleitet werden. Warum sollen die Überschüsse ausgerechnet für die AHV verwendet werden? Ihr Vorschlag ist sicherlich populär, aber ordnungspolitisch völlig falsch: Sie betreiben damit reine Symptombekämpfung. Das strukturelle Defizit der AHV bleibt erhalten. Blocher: Ich habe nicht gesagt, dass wir damit sämtliche Probleme der AHV lösen. Tatsache ist, dass wir für die AHV entweder weitere Lohnabzüge oder zusätzliche Prozente bei der Mehrwertsteuer brauchen. Wenn Sie den Goldüberschuss in den AHV-Fonds einzahlen und nur die Erträge verwenden, sparen wir etwa 0,5 bis ein Lohnprozent ein. Man könnte das Geld aber auch noch anders zurückführen. Man könnte das Geld dem Volk verteilen: Jeder Schweizer würde 3000 Franken erhalten; doch dies könnte wegen der höheren Kaufkraft zu Inflationsproblemen führen. Man muss das Geld also so einsetzen, dass es allen zugute kommt. Beim AHV-Fonds ist dies so. Weshalb spielen Sie die beiden Vorschläge zur Verwendung des Goldes gegeneinander aus? Was spricht gegen den Kompromissvorschlag der SP, Nationalbank-Gold sowohl für die AHV als auch für die Solidaritätsstiftung zu verwenden? Blocher: Ja, die Linken waren sehr beunruhigt über meinen Vorschlag. Das habe ich bemerkt... Der Vorschlag, Nationalbank-Gold für die AHV zu verwenden, kommt ursprünglich von der SP selbst! Blocher: So, das ist mir neu. Warum aber nur ein Teil dessen, was dem Volk gehört, diesem zukommen lassen? Sie scheinen wenig kompromissbereit. Sie lancieren ihre Initiative gegen die Solidaritätsstiftung, weil Sie dringend ein populäres Wahlkampfthema suchen - denn mit Ihren bekannten Positionen in der Europa- und Asylpolitik sind derzeit nicht allzu viele Stimmen zu holen. Blocher: Woher nehmen Sie das? Ich führe jetzt seit 22 Jahren die Zürcher SVP, und ich muss Ihnen sagen, wir haben weit unten angefangen. Wir legen alle vier Jahre zu. Wir haben mit vier Zürcher Nationalräten angefangen, heute haben wir neun, und es sieht nicht so aus, als würden wir nächsten Sonntag die Zürcher Kantonswahlen verlieren... Wir reden nicht vom Kanton Zürich, wo Sie zweifellos Erfolge vorzuweisen haben. Wir reden von der nationalen Ebene. Also: Lancieren Sie Ihre seit eineinviertel Jahren gut gelagerte Initiative erst jetzt, weil Sie AHV und Solidaritätsstiftung zum Thema im Nationalratswahlkampf machen wollen? Blocher: Nein. Wir haben zuerst den parlamentarischen Weg ausgeschöpft, daher die Verzögerung. Aber offenbar haben wir ein gutes Thema gewählt, wenn Sie es für wahlkampfwürdig halten (lacht). Uns fällt auf, dass Sie in letzter Zeit auf der nationalen Ebene kaum präsent waren. Es ist beispielsweise bekannt, dass Sie gegen die neue Bundesverfassung sind - aber aus dem Abstimmungskampf haben Sie sich völlig herausgehalten! Blocher: Das ist nichts Neues. Es fällt in letzter Zeit nur mehr auf, weil bei jeder Vorlage darauf geachtet wird, wo der Blocher steht. Ich war im Laufe meiner Zeit bei Dutzenden von Vorlagen anderer Meinung als der Bundesrat, ohne den Kampf überall zu führen. Man muss wissen, was wesentlich und wichtig ist. Beim Kernthema Ihrer Politik, der Europafrage, haben Sie sich aber ebenfalls um eine Stellungnahme gedrückt: Sie haben sich noch immer nicht festgelegt, ob Sie die bilateralen Verträge mit einem Referendum bekämpfen wollen! Blocher: Das sage ich, wenn es soweit ist! Die Vernehmlassungsfrist ist am Dienstagabend abgelaufen. Blocher: Ich lasse mir Zeit bis im Herbst, bis die Vorlagen im Parlament verabschiedet sind. Es gibt Dinge, die ich sehr früh einleite. Bei der Frage der Entsendung von bewaffneten Truppen ins Ausland etwa engagiere ich mich frühzeitig. Dieser Kampf muss an vorderster Front geführt werden - in einer Volksabstimmung. Das Gesetz, welches bewaffnete Truppen im Ausland vorsieht, ist dem Volk vorzulegen. Bei den bilateralen Verträgen aber verschiesse ich doch nicht das Pulver, bevor ich überhaupt weiss, was im Detail darin steht. Es kommt ja jeden Tag etwas Neues hervor. Dass das schlechte Verträge sind, ist mir klar. Aber es könnte ja sein, dass man auch schlechte Verträge schlucken muss! Beim EWR haben Sie nicht so lange zugewartet... Blocher: ...weil die Sache eindeutig war. Wir sagten damals: Entweder wir erhalten ein Vetorecht, oder der EWR wird bekämpft... ...und diesmal ist Ihr Spielraum für einen Abstimmungskampf viel kleiner. Der Bundesrat ist geschickt vorgegangen und kann beim heikelsten Dossier, dem Personenverkehr, nochmals Stellung beziehen, bevor die Personenfreizügigkeit in die entscheidende Phase tritt. Ihnen sind die Hände gebunden! Blocher: Mir sind nirgends die Hände gebunden! Sie haben in letzter Zeit mehrere Niederlagen an der Urne einstecken müssen, während der Bundesrat die letzten zehn Volksabstimmungen gewonnen hat. Am Sonntag werden Sie mit Ihrer Opposition gegen die neue Bundesverfassung vermutlich erneut unterliegen. Sind Sie deshalb so schweigsam geworden? Blocher: Ja, die Bundesverfassung, das ist schon eine traurige Angelegenheit (grinst). Ich muss Ihnen sagen, ich habe, seit ich Nationalrat bin, zu achtzig Prozent Niederlagen eingesteckt. Auch wenn Sie diese scheinbar locker wegstecken: Sie haben in letzter Zeit wenig Erfolg gehabt. Auch Ihre "Jubiläumsspende" ist gescheitert: Anstelle von 50 Millionen Franken sind nur 3,5 Millionen zusammengekommen. Blocher: Das war zumindest eine der wenigen echten solidarischen Aktionen im Jubiläumsjahr! Dann ist es also aus einem anderen Grund in letzter Zeit so ruhig geworden: Sie haben eine Kunstpause eingelegt - um danach wieder umso wirkungsvoller ins Rampenlicht zu treten! Blocher: Ich lege hier gewiss nicht meine Taktik offen. Aber vielleicht liegen Sie gar nicht so falsch.

15.04.1999

«Dieser Krieg beseitigt das Elend nicht»

Streitgespräch mit Nationalrat Andreas Gross in der Weltwoche vom 15. April 1999 Wie weiter im Kosovo-Konflikt? Militärkritiker Andreas Gross (SP) begrüsst das Nato-Bombardement, Oberst Christoph Blocher (SVP) ist dagegen. Gespräch: Martin Furrer und Martin A. Senn Irritiert nehmen wir zur Kenntnis, dass der Pazifist Andreas Gross den Krieg der Nato gegen Serbien befürwortet, während Oberst Christoph Blocher ihn ablehnt. Andreas Gross: Mich einen Befürworter des Nato-Krieges zu nennen wäre zu dick aufgetragen. Es gibt berechtigte Argumente für diese militärische Intervention. Sie ist völkerrechtlich zwar illegal, aber legitim. Legitim? Gross: Ja. Zehn Jahre lang hat der Westen auf dem Balkan Fehler gemacht und viele Zeichen ignoriert. Jetzt blieb keine andere Möglichkeit mehr, als zwischen zwei Übeln zu wählen, nämlich den serbischen Präsidenten Slobodan Milosevic gewähren zu lassen oder alles zu tun, um das Massaker an der kosovo-albanischen Bevölkerung selbst mit Gewalt zu verhindern. Die Intervention der Nato, das ist für einen Pazifisten eine so grausame wie wahre Erkenntnis, ist nötig. Christoph Blocher: Einen Krieg zu führen, um Völkermord zu verhindern, ist ein berechtigtes Motiv. Nur muss man das Ziel auch erreichen. Die Nato will dem Westen weismachen, sie könne diesen Krieg ohne eigene Verluste führen. Es kommt mir vor, als würde dort Krieg als Computerspiel betrieben. Hier wollen Politiker ihr Gesicht wahren. Ich höre, dass die amerikanischen Militärs den Politikern von einer Bombardierung Serbiens abgeraten hatten. Zu Recht. Krieg darf nur führen, wer ein klares Ziel hat und bereit ist, das Leben zu opfern. Sonst muss man es unterlassen. Beides kann ich auf Nato-Seite nicht erkennen. Wenn Sie, Herr Gross, behaupten, dieser Krieg sei gerechtfertigt, wissen Sie nicht, was Sie sagen. Würden Sie als Regimentskommandant, Herr Blocher, den Einsatz von Bodentruppen befürworten? Blocher: Dieser Krieg lässt sich ohne Bodentruppen nicht gewinnen. Aber die Nato-Staaten sind nicht bereit, Opfer zu bringen. Ich habe dafür Verständnis. Dieser Krieg beseitigt das Elend nicht, das er bekämpfen will. Die Nato-Bomben haben das Flüchtlingschaos vergrössert, ohne Aussicht auf Besserung. Das Sagen haben die Militärs. Wie könnte das Politische wieder die Oberhand gewinnen? Blocher: Krieg ist die Fortsetzung der Politik mit anderen Mitteln. Ob Krieg geführt wird, müssen die Politiker bestimmen, und sie haben es auch getan. Gross: Das eigentliche Problem ist aber, dass gigantische politische Fehlleistungen vor zehn Jahren die jetzige Situation geschaffen haben. So hat der Westen unterschätzt, dass die ethnischen Säuberungen von Anfang an das Hauptziel Milosevics gewesen sind. Die Vertreibung der Kosovo-Albaner hat schon vor dem Nato-Einsatz eingesetzt. Tragisch ist, dass die Kosovo-Albaner, die jahrelang eine gewaltlose Strategie eingeschlagen hatten, von der internationalen Völkergemeinschaft nicht ernst genug genommen wurden. Noch im Dayton-Abkommen war das Kosovo bloss ein Pfand, das man Milosevic überlassen konnte. Blocher: Für die aktuelle Situation spielt die Frage, was man früher hätte besser machen sollen, keine Rolle. Es ist von den Tatsachen auszugehen. Gross: Doch, für die Beantwortung der Frage, ob und warum die Politik abgedankt habe, ist das wichtig. Blocher: Ich meine auch nicht, dass die Politik abgedankt hat. Tragisch ist aber, dass es letztendlich der Nato nur noch darum geht, das Ansehen zu wahren. Um so mehr erstaunt mich, dass der einstige Armeeabschaffer Gross jetzt dem Krieg applaudiert. Gross: Von Applaus kann keine Rede sein, höchstens von bitterem Realismus. Ich will im Gegensatz zu Herrn Blocher nicht den kleinen Feldherrn spielen, der aus der sicheren Schweiz heraus der Welt erklärt, was zu tun sei. Blocher: Das ist ein billiger Vorwurf. Auch Sie kritisieren ja die anderen. Gross: Ich sage nur meine Meinung. Blocher: Ich auch. Sie sprechen von Fehlern, die 1989 gemacht worden seien. Sie scheinen vieles besser zu wissen. Gross: Wenn wir über die Legitimität dieses Krieges sprechen, müssen wir die Frage nach der Verhältnismässigkeit des Vorgehens stellen. Die Gefahr, dass dieser Krieg eskaliert, ist sehr gross. Man sollte darum auch dem Gegner immer wieder die Chance geben, einen Waffenstillstand schliessen zu können. Sie übersehen, Herr Blocher, dass es beim Krieg auf dem Balkan auch um den fundamentalen Selbstwert der europäischen Kultur geht: Die Muslime gehören zu Europa, es ist die Aufgabe Europas zu verhindern, dass sie aus ihrer Heimat vertrieben werden. Zweitens muss Europa Russland helfen, seine Rolle als Brückenbauer in diesem Konflikt spielen zu können. Blocher: Dieser Konflikt darf nicht zu einem Dritten Weltkrieg eskalieren. Entweder man führt ihn mit klarem Ziel und unter grossen Opfern, oder man lässt die Finger davon. Ob ein Waffenstillstand jetzt richtig ist, weiss ich nicht. Vielleicht. Für Sie, Herr Blocher, ist der Genozid im Kosovo kein Interventionsgrund? Blocher: Doch, aber nur, wenn weitere Gewalt damit verhindert wird. Durch die Luftangriffe wird das Elend noch vergrössert… Gross: …nein, auf keinen Fall. Das ist eine Ignorierung und Verharmlosung dessen, was vorher war… Blocher: …doch, im Moment richten sie mehr Schaden an als Nutzen. Übrigens gilt es zu bedenken, dass in der Vergangenheit auch die Serben Opfer von ethnischen Säuberungen geworden sind. Beide Seiten haben Grausamkeiten begangen. Gross: Europa hat sich zu rasch der Logik der ethnischen Säuberungen unterworfen. Die Schweiz und Deutschland haben Kroatien und Slowenien zu schnell anerkannt. Man hat zu lange mit Milosevic verhandelt, die Schweiz hat die serbischen Oppositionellen zuwenig unterstützt. Jetzt eint die militärische Intervention Serbien. Die Schweiz leistet humanitäre Hilfe vor Ort und wartet auf die Flüchtlinge. Auch sie ist ohnmächtig. Gross: Es gibt immer wieder Situationen im Leben, wo man zur eigenen Ohnmacht stehen muss. Verheerend an der militärischen Logik ist, dass sie vorgibt, die Ohnmacht sofort überwinden zu können. Blocher: Aktivismus muss oft die Tatsache verdecken, dass jemand machtlos ist. Als Unternehmer muss ich manchmal auch auf Aktivitäten verzichten, weil die Kräfte dazu fehlen. Gross: Europa kann in seiner Südosteuropa-Politik nicht zehn Jahre lang Fehler begehen und meinen, diese im elften vergessen machen zu können. Unter Aussenminister Flavio Cotti wollte sich die Schweiz vermehrt aussenpolitisch engagieren. Blocher: Engagement als solches sagt noch gar nichts. Es gibt gescheites und dummes Engagement. Aktivität als solche kann kein Ziel sein. Bundesrat Adolf Ogi hat gesagt: Wir müssen zur Krise gehen, sonst kommt die Krise zu uns. Das leuchtet doch ein. Blocher: Das sind Werbesprüche für den Einsatz bewaffneter Truppen im Ausland. In Tat und Wahrheit müsste der Satz lauten: Gehen wir zur Krise, dann haben wir sie auch bei uns. Der Schweiz ist es gelungen, dank ihrer bewaffneten Neutralität den Krieg während zweihundert Jahren von ihrem Territorium abzuwehren. Wenn ich sehe, wie leichtfertig gewisse Militärs heute den Gegner ausserhalb der eigenen Grenzen schlagen wollen, verwundert mich das darum sehr. Gross: Adolf Ogi hat wie meist das Herz auf dem rechten Fleck. Aber manchmal greift er in seinen Aussagen zu kurz. Die Schweiz muss künftig Krisen verhindern helfen. Sollten sie nicht zu verhindern sein, muss sie wenigstens mithelfen, deren Konsequenzen zu lindern. Das heisst Engagement vor Ort und Solidarität in der Flüchtlingspolitik. Blocher: Gegen Flüchtlingspolitik hat niemand etwas einzuwenden. Gerade für einen neutralen Staat würde sich hier ein offenes Feld ergeben. Dadurch könnte viel zur Konfliktverminderung beigetragen werden. Doch der Bundesrat hat, indem er den Einsatz der Nato gegen Serbien unnötigerweise offiziell begrüsst hat, leider viel Goodwill verspielt. Wer in einem Krieg Stellung nimmt, ist Partei! Wie könnte die Schweiz ihrer Rolle gerecht werden? Sie ist als Vermittlerin gerade in diesem Konflikt nicht gefragt. Blocher: Woher wissen Sie das? Die Schweiz kann Lager für Kriegsflüchtlinge errichten… Gross: …Lager? Die Unterbringung bei Verwandten ist viel sinnvoller… Blocher: …und diese Lager baut man am besten vor Ort. Nur für den Neutralen ist Hilfe auf beiden Seiten möglich. Es gibt ja fast nur noch parteiische Staaten. An sich wäre ja die Uno zuständig, doch im Uno-Sicherheitsrat wäre der Truppeneinsatz durch ein Veto Russlands und Chinas verhindert worden. In dieser Situation sollte der Kleinstaat Schweiz nicht auch noch Partei nehmen und mit einem Nato-Beitritt liebäugeln. Gross: Wenn Herr Blocher und ich übereinstimmend feststellen, die Schweiz sei ohnmächtig, so deshalb, weil wir beide nicht so anmassend sind zu glauben, das Desaster auf dem Balkan hätten wir als Schweizer verhindern können. Kann die Schweiz zur Verhinderung künftiger Konflikte etwas beitragen? Gross: Ja, indem sie es gemeinsam mit allen anderen versucht in der Uno, der EU, mit der OSZE, sogar in Absprache mit der Nato. Jetzt stellt sich die Frage: Was können wir tun, damit ein Waffenstillstand zustande kommt? Und? Gross: Die Schweiz ist zwar nicht mehr so archaisch neutral, wie das Herr Blocher gerne hätte, aber auch nicht direkt Partei. Unter der Obhut von Russland, Österreich, Schweden oder der Schweiz könnte eine Konferenz zur längerfristigen Befriedung der Völker auf dem Balkan und zur Festigung der Grenzen aufgebaut werden, so wie das die KSZE 1973 in Helsinki versucht hat. Und die Schweiz könnte sich an einer Schutztruppe für den Kosovo unter Obhut der Uno beteiligen. Bewaffnet oder unbewaffnet? Gross: Ohne Bewaffnung zur Selbstverteidigung wäre diese Beteiligung entweder verantwortungslos, oder wir würden die Drecksarbeit andere machen lassen. Blocher: Hört, hört! Gross: Darüber hinaus müsste sich die Schweiz an einer Art Marshall-Plan für Osteuropa inklusive Russland beteiligen. Es braucht überall zivile ökonomische Investitionen; die Schweiz kann ihren Beitrag dazu leisten. Blocher: Ich habe nichts gegen Marshall-Pläne, das heisst einen Aufbau der Wirtschaft mittels Darlehen im Kosovo. Doch das kommt nach dem Krieg. Der Bundesrat hat drei Superpuma mit bewaffnetem Personal zum Selbstschutz ins Krisengebiet geschickt. Blocher: Selbstverständlich habe ich nichts gegen Superpumas einzuwenden, doch die Frage ist, was sie nützen. Gross: Woher soll man wissen, dass etwas Nutzen bringt, bevor man es gewagt hat? Blocher: Ich glaube, ein Grosseinsatz der Schweiz beim Bau von Flüchtlingslagern bringt mehr für die Menschen als alles andere. Wenn der Bundesrat die Superpuma-Besatzung zur Selbstverteidigung bewaffnet, hat er das Wesen des Krieges nicht begriffen. Gegen den Einsatz von unbewaffneten Einheiten habe ich nichts. Bewaffnete Truppen ins Ausland zu schicken heisst aber, sich früher oder später in den Krieg zu verstricken. Humanitäre Hilfe kombiniert mit militärischer Intervention ist unvereinbar. Herr Gross, Sie werden nächste Woche als einziger Schweizer Parlamentarier zum 50-Jahr-Jubiläum der Nato nach Washington reisen. Sind Sie für den Nato-Beitritt der Schweiz? Gross: Sicher nicht. Die amerikanische Regierung hat mich vor drei Monaten als engagierten Politiker eines Mitgliedstaates der Nato-Partnerschaft für den Frieden eingeladen. Es geht darum, anlässlich des fünfzigjährigen Bestehens kritisch über die Nato nachzudenken. Blocher: Kritisch nachdenken? Sie sind doch blauäugig, Herr Gross. Die Nato, das ist heute Amerika. Es ist verständlich, dass Amerika die Schweiz in der Nato haben möchte. Militärisch wird die Nato von den USA bestimmt. Gross: Unsinn. Die Amerikaner schätzen kritisches Denken und den Widerspruch manchmal sogar noch mehr als gewisse Schweizer. Herr Blocher, Sie betonen, ein neutraler Staat dürfe sich aussenpolitisch nicht einmischen. Unsere europäischen Nachbarn bringen jedoch Opfer, während die Schweiz Symptombekämpfung betreibt. Blocher: Die Schweiz hat mit ihrer Armee Gewaltanwendung von aussen zu verhindern. Die Nato-Staaten wollen das gleiche für sich, aber in der Nato. Ich habe Respekt davor, wenn die Amerikaner neben der Verteidigung ihrer eigenen Interessen auch das Unrecht der Welt bekämpfen. Doch das geschieht ja derzeit auf dem Balkan nicht, im Gegenteil: Die Bombardierung erzeugt erst recht menschliches Leid. Einzig der Uno-Sicherheitsrat hätte Amerikas Interventionsdrang zurückbinden können. Was haben Sie also gegen die Uno als völkerrechtliches Regulativ? Blocher: Die Uno, das beweist der Kosovo-Konflikt, kann solche Probleme eben gerade nicht lösen. Der Uno-Sicherheitsrat hätte nein gesagt. Streng genommen ist das Vorgehen der Nato völkerrechtlich gesehen illegal… Gross: …einverstanden… Blocher: …und zweitens handeln die Vereinigten Staaten nur über die Uno, wenn sie damit - wie im Irak-Krieg - Aussicht auf Erfolg haben, und sie operieren via Nato, wenn ihnen das gelegener kommt. Eben gerade deshalb muss die Schweiz doch ein Interesse an völkerrechtlichen Mechanismen haben, mit denen eine Weltmacht rechtlich in die Schranken gewiesen werden kann. Blocher: Ich habe nichts gegen solche Mechanismen, aber man hüte sich vor Illusionen. Gross: Uno-Generalsekretär Kofi Annan ist sich seiner Machtlosigkeit bewusst und zeigte trotzdem Verständnis für das Vorgehen der Nato. Bei Ihnen, Herr Blocher, spüre ich einen Grundpessimismus; Sie haben wohl wenig Glauben daran, dass sich die Welt zum Besseren entwickelt. Ich bin überzeugt, dass es sogar im Interesse der Vereinigten Staaten ist, wenn die Uno wieder die Rolle spielen kann, die jetzt Amerika zum Teil übernommen hat. Uno und Völkerrecht werden sich gerade wegen des Jugoslawien-Krieges weiterentwickeln. Blocher: Dass die Welt immer besser werde, Herr Gross, ist leider blauäugiger Idealismus. Es ist eine Tatsache, dass China im Uno-Sicherheitsrat ebenso ein Vetorecht hat wie Russland, England oder Frankreich. Auch Grossmächte wollen ihre Interessen wahren. Das ist Realität. Die Uno ist keine gemeinnützige Gesellschaft. Gross: Doch, das ist sie, und sie kann es noch weit mehr werden. Blocher: Sie ist es zumindest nicht nur. Auch dort wird Interessenpolitik betrieben unter dem Deckmantel schöner Erklärungen für den Weltfrieden. Herr Blocher, eine Rückkehr der vertriebenen Kosovo-Albaner ist nur unter dem Schutz einer bewaffneten internationalen Truppe möglich. Wenn sich die Schweiz an solchen Operationen beteiligen will, ist das dann für Sie eine Teilnahme an einem kriegerischen Konflikt? Blocher: Ja, und wir sind fast schon soweit. Gross: Nein, nein. Blocher: Doch. Wer bewaffnete Truppen, unter welchem Vorzeichen auch immer, ins Ausland schickt, läuft Gefahr, in den militärischen Konflikt hineingezogen zu werden. Wer etwas anderes behauptet, beschönigt. Gross: Entscheidend ist doch die Frage der Autonomie. Diese gibt es nur in einer Demokratie. Gegen eine Demokratie militärisch zu intervenieren wäre unzulässig. Milosevic aber ist ein Diktator und Kosovo keine autonome Republik mehr. Künftig wird es darum gehen, nicht nur ein im alten Rahmen autonomes, sondern ein eigenständiges, neues Kosovo aufzubauen. Das wäre eine Aufgabe für die neue KSZE-Konferenz für Südosteuropa. Wenn die Kosovo-Vertriebenen in ihre Heimat zurückkehren sollen, geht das nicht ohne die Obhut bewaffneter Schutztruppen. Daran muss sich die Schweiz auch beteiligen. Blocher: Würde die Schweiz da mitmachen, müsste sie sich sofort einem der Machtblöcke anschliessen. Es geht darum, wer die "bewaffnete Autonomie" im Gebiet Kosovo-Albanien wahren soll. Gross: Milosevic ist kein Machtblock, sondern ein Kriegsverbrecher. Es geht doch um die Frage, wer in Zukunft die Rolle des Weltpolizisten spielen soll. Die Amerikaner? Das wünschen Sie und ich nicht. Nur die Uno kann diese Rolle übernehmen. Blocher: Soll in dieser Welt tatsächlich jemand die Rolle des Weltpolizisten spielen? Der Weltpolizist hat keine Kontrolle über sich, und das ist gefährlich. Gross: Die Uno wird in den nächsten Jahren ihr Gesicht verändern. Sie gehen ein Risiko ein, Herr Blocher, das Sie als Unternehmer nie wagen würden, nämlich trotz veränderter Rahmenbedingungen zu lange an Vergangenem festzuhalten, bloss weil es sich bewährt hat. Sie laufen Gefahr zu übersehen, dass sich vielleicht die Umstände derart verändert haben, dass auch aus Bewährtem ein Irrtum wird. Blocher: Ich halte nicht aus Tradition an bewaffneter Neutralität fest, sondern weil sie immer wichtiger wird. Nicht der Beweis, sondern ein Indiz für ihre Richtigkeit ist, dass sie sich zweihundert Jahre lang bewährt hat. Gross: Die grösste Herausforderung ist es, im Erfolg zu lernen. Die Schweiz war vielleicht bis zum Zweiten Weltkrieg ein Erfolgsmodell. Doch dann hat sie zu lange stagniert. Blocher: In Frage stellen darf man immer, aber ändern um der Änderung willen, das nicht. Gross: Richtig. Aber wenn man der Politik ihre Gestaltungsmacht zurückgeben will, muss man sie supranational neu verankern. Ich frage Sie, Herr Blocher: Ist es Ihnen egal, wenn die Politik weiter Macht verliert? Blocher: Politik als Abstraktum sagt mir gar nichts. Gross: Ich verstehe darunter gesellschaftliche Handlungsmacht. Politik ist Ausdruck der Macht einer Mehrheit von Menschen, das Leben selbstbestimmt zu gestalten. Blocher: Daran glaube ich nicht. Ein Staat braucht immer auch eine Gewaltenkontrolle. Wenn die Welt von einer Weltregierung beherrscht wird, ist Gewaltenkontrolle ausgeschlossen, am Schluss befiehlt nämlich der Stärkere. Das macht mir angst. Gross: Im Gegensatz zu Ihnen, Herr Blocher, traue ich den Menschen Lernfähigkeit zu. Sie sind ein abgrundtiefer Pessimist. Herr Blocher, die SVP lanciert demnächst eine neue Asylinitiative. Wollen Sie stattdessen nicht lieber eine Nato-Beitrittsinitiative lancieren, um krisenpräventiv agieren zu können? Blocher: Denken Sie, ich hätte über Nacht meinen gesunden Menschenverstand verloren? Es ist nötig, den Asylrechtsmissbrauch zu unterbinden. Aber auch die Neutralität zu wahren und der Nato nicht beizutreten. Herr Gross, sind Sie noch immer ein Pazifist? Gross: Ja, gewiss. Pazifist sein heisst, Gewalt zu verhindern, und wenn man dabei scheitern sollte, mit möglichst wenig Gewalt auszukommen. Blocher: Das ist eine ganz neue Definition von Pazifismus. Dann bin ich schon lange Pazifist, denn für uns war die Armee nie etwas anderes als das letzte Mittel. Gross: Umso besser.