13a Assemblea generale ordinaria dell’ ASNI

Punto della situazione del 9 maggio 1998

Cari membri, Signore e signori,

Vi do il più cordiale benvenuto alla 13a Assemblea generale ordinaria dell’Azione per una Svizzera neutrale e indipendente (ASNI). Mentre in occasione della nostra prima Assemblea generale i 100 posti a sedere della sala del Bürgerhaus erano sufficienti, quest’anno dobbiamo constatare che anche questa grande sale è da considerarsi ormai piccola. Vi prego di scusare lo scarso posto a disposizione.

Quando a governare sono la mancanza di concetto e la contraddizione
La salvaguardia dell’indipendenza del nostro Paese dei confronti dell’estero, uno dei principali compiti dello Stato che la Costituzione federale conferisce alle autorità federali e al Parlamento, si contraddistingue oggi per la mancanza di concetto e per il disorientamento e, quindi, anche per la sua incertezza. Come spiegare altrimenti quanto segue?

Votando no al SEE, 5 anni fa il popolo si è espresso chiaramente a favore dell’indipendenza e della neutralità del Paese. Sia per il Consiglio federale sia per il Parlamento il mandato era chiaro: dare seguito alla volontà popolare. Il Consiglio federale ha deciso di dare il via a negoziati bilaterali con l’Unione europea per tutelare gli interessi e l’indipendenza del Paese. Ma nel corso dei negoziati il Consiglio federale dichiara che l’obiettivo finale è l’adesione all’UE e non più l’indipendenza del Paese. Ovvio, quindi, che l’Unione europea ne deduca che in occasione dei negoziati bilaterali la Svizzera sia disposta ad accettare tutto ciò che dovrebbe riprendere in caso di adesione all’UE o al SEE – in particolare la libera circolazione delle persone e la politica dei trasporti dell’UE. Non sorprende affatto, quindi, che i negoziati bilaterali si trovino in una posizione di stallo.

Il ministro degli esteri e oggi presidente della Confederazione tiene instancabilmente una conferenza dietro l’altro sull’adesione all’UE diffondendo segnali sbagliati. I negoziati bilaterali sono diventati difficili soprattutto a causa della mancanza di concetto del Consiglio federale. Com’è possibile svolgere negoziati bilaterali quando, in fin dei conti, si vuole il contrario? La mancanza di un concetto ben preciso ha delle conseguenze negative.

Anche il capo della delegazione svizzera addetta ai negoziati, il cui compito è quello di condurre i negoziati, annuncia da un po’ di tempo sulla stampa che in fin dei conti la Svizzera dovrebbe aderire all’UE. Ciò lascia intendere ai lettori e alla delegazione comunitaria che i negoziati bilaterali non sono affatto necessari. Non si possono perseguire contemporaneamente due concetti di per sé contraddittori.

Prima delle elezioni del 1995 il Partito democristiano (PDC) aveva dichiarato che prima del 2000 l’adesione all’UE non sarebbe stata affatto un tema. Dopo circa due anni – nel marzo del 1998 – il PDC si dichiara invece disposto ad aderire all’UE. La stampa commenta tale decisione come segue: “In questo modo il PDC va incontro al suo consigliere federale Cotti”. Ciò significa in pratica che va incontro allo stesso consigliere federale che dovrebbe però fare il contrario, ovvero condurre i negoziati bilaterali affinché il nostro Paese non debba aderire al SEE e all’UE. Quante sono le persone che il PDC intende servire contemporaneamente?

Il Partito socialista riesce però a fare ancora di meglio: esso intende aderire subito all’UE, un’istituzione che come sappiamo non ha posto per la democrazia diretta. Contemporaneamente promette ai propri elettori – come se fossero tutti imbecilli – che intende estendere la democrazia diretta.

Nel 1995, nel luogo di vacanza di Interlaken, il partito radicale-democratico aveva espresso parere favorevole per un’adesione all’UE. Il 17 aprile 1998 ha poi annunciato che entro fine anno il Consiglio federale deve chiarire “la compatibilità UE delle norme svizzere” e le “ripercussioni di un’adesione all’UE sulla democrazia diretta”. Prima si decide, poi, tre anni dopo, si mettono a disposizione le basi necessarie per questa decisione!

Un “club di imperterriti”, di cui fanno purtroppo parte alcuni membri dell’UDC, dichiara ora che occorre aderire al SEE poiché non si riesce a trovare una soluzione bilaterale riguardo ai dossier della politica dei trasporti e della libera circolazione dei trasporti. Giusto: se fossimo nel SEE, non avremmo più bisogno di negoziati, farebbe testo la legge dell’UE, ovvero la libera circolazione delle persone e la politica dei trasporti dell’UE. Come si arriva a sottoscrivere un trattato coloniale?

Signore e signori, al momento a tenere banco sono la mancanza di concetto, la contraddizione e le armi a doppio taglio.

Qual è il mandato?

Se si dovesse mettere al centro dell’attenzione il mandato, tutto sarebbe molto semplice. Ma qual è il mandato? La Costituzione federale e il popolo svizzero hanno conferito ripetutamente (SEE, caschi blu, ONU) il mandato di tutelare l’indipendenza e la neutralità. Signore e signori, i nostri politici hanno prestato giuramento al riguardo. Il Governo ha solo due possibilità: accettare questa decisione concretizzandola senza discutere oppure – se non è intenzionato a farlo – dimettersi.

Alla decadenza dell’attuale situazione contribuisce anche un Parlamento che elegge ovviamente solo consiglieri federali che non sono intenzionati a soddisfare tale mandato.

Le conseguenze di una mancata osservazione del mandato

Se non si prende sul serio l’indipendenza, vi saranno conseguenze negative ben oltre l’UE. Non c’è da stupirsi, quindi, che il nostro Paese si opponga in modo così fiacco e indeterminato contro le richieste sfrontate, illegittime e ricattatorie di alcuni ambienti americani. Per poter dar prova di fermezza e di superiorità, per poter tutelare gli interessi della Svizzera, occorre stare dalla parte della Svizzera e dei suoi valori. Se non lo si fa, non si è in grado di soddisfare efficacemente il proprio compito.

Se non si prende più sul serio la neutralità, ci si lascia coinvolgere in tutto; se non si rispetta la democrazia diretta e la volontà popolare, bisogna scusarsi nei confronti dell’estero per le decisioni prese dal popolo.

Poiché la democrazia diretta e la neutralità sono in contrasto con l’integrazione della Svizzera nell’Unione europea, si inizia a ridimensionarle.

Se si ha dubbi sulla sovranità del Paese, non si dispone più delle premesse e della forza necessaria per difendere gli interessi del Paese.

Laddove questi valori non vengono più rispettati, dove non si possiede più la forza di rappresentarli e di sostenerli, un Paese diventa facilmente ricattabile.

Debolezza anche nella difesa del Paese

Purtroppo la mancanza di concezione non riguarda solo singoli settori, ma è visibile dappertutto. In fatto di politica di sicurezza anche il Dipartimento della difesa ha adottato un corso pericoloso che lo impossibilita a difendere i nostri massimi valori, ovvero la libertà, l’indipendenza e la democrazia diretta, contro l’uso della forza da fuori. Anche nel Dipartimento della difesa si dà sempre più la preferenza a presuntuose azioni internazionali piuttosto che all’adempimento del proprio mandato.

La Svizzera nell’anno dell’anniversario

Signore e signori, quest’anno festeggiamo un triplice anniversario:
1648: ovvero 350 anni di staccamento della Svizzera dall’impero germanico e, quindi, 350 anni di sovranità e indipendenza formale della Svizzera
1798: 200 anni di Elvezia e, quindi, libertà e uguaglianza per tutti i cittadini
1848: 150 anni di Stato federale

1648: pace di Vestfalia

350 anni fa, con l’annuncio della pace di Vestfalia, il sindaco di Basilea Johann Rudolf Wettstein ha coronato la propria missione diplomatica riuscendo nel suo intento di far riconoscere all’Europa la sovranità della Svizzera dopo lunghe trattative bilaterali e numerosi colloqui individuali. Per le principali località della Confederazione tale sovranità era valida sin dai tempi delle guerre contro i Germanici del 1499. Nel 1648 tutto il mondo poteva quindi leggere le seguenti parole:

“Ormai l’impero e il mondo intero hanno preso conoscenza del fatto che la Confederazione è libera e che dipende solo da Dio e da se stessa.”

Signore e signori, è forse un caso se il Consiglio federale e il Parlamento non vogliono festeggiare il 1648?

Perché la Berna ufficiale non vuole festeggiare i 350 anni dallo staccamento dall’impero germanico, 350 anni di sovranità e 350 anni senza imperatore?

Si teme forse di attirare l’attenzione del popolo svizzero o addirittura degli Stati esteri sulla sovranità della Svizzera?

Si teme forse che gli Stati esteri se la possano prendere con noi?

Consiglio federale e Parlamento si vergognano forse della sovranità della Svizzera?

Forse dovremmo essere contenti che la Svizzera ufficiale taccia in merito a questa ricorrenza. Altrimenti dovremmo assistere che 350 anni dopo il raggiungimento dell’indipendenza della Svizzera il nostro Stato rivolga le proprie scuse ufficiali all’estero per questo “atto ignobile”. Non dubito del fatto che esistano persone che considerano il raggiungimento dell’indipendenza come un atto di scarsa solidarietà. Si troverebbero senza dubbio ambienti che, sotto la pressione internazionale, chiederebbero soldi alla Svizzera per aver conseguito tale sovranità e si troverebbero anche politici svizzeri che prometterebbero a tali ambienti il patrimonio nazionale proveniente da ogni genere di fondi e di fondazioni.

1798
200 anni fa le truppe francesi hanno sferrato un colpo mortale contro il nostro Paese caratterizzato allora da una politica opaca, noiosa e ammuffita. Il colpo mortale è stato sferrato contro la vecchia Confederazione in cui una piccola cerchia di aristocratici regnava sui sudditi.

Era spaventoso come i regnanti del 1798 fossero vanitosi, estranei alla realtà, presuntuosi e ottusi; essi si sentivano molto superiori alla massa rappresentata dal popolo. Signore e signori, tali individui dovevano essere sostituiti. Ma come potrete constatare, nessun periodo ci rende immuni da tali politici. Essi esistono anche nei nostri giorni.

Altrimenti come sarebbe possibile, ad esempio, che il consigliere nazionale ginevrino Peter Tschopp, vicepresidente di un partito governativo del nostro Paese, possa scrivere in una “lettera aperta” che considera pericoloso per il nostro Stato il fatto che io abbia distribuito a tutte le economie domestiche del Paese il mio opuscolo “La Svizzera e l’Europa – 5 anni dopo il no al SEE”? Tschopp ha annunciato in questa lettera che mediante un’interpellanza avrebbe garantito, per le questioni politiche, il “monopolio dell’informazione” del Consiglio federale e che avrebbe impedito attraverso una nuova legge tali iniziative prese da “semplici persone private”. Il professor Tschopp non si è forse ancora reso conto che il monopolio dell’informazione dello Stato è stato soppresso nel 1798 e che la libertà d’espressione è ancorata nella Costituzione sin dal 1848! Come potete constatare, questi signori stanno per resuscitare, esattamente come nel periodo che ha preceduto il 1798, con l’unica differenza che oggi non portano la parrucche incipriate.

È forse un caso che sono proprio queste persone che vogliono far resuscitare il feudalesimo, ovvero il dominio di una minoranza sulla grande massa, attraverso un’adesione all’UE? Il centralismo burocratico di Bruxelles non significa null’altro che un ritorno dell’Europa a una situazione di politica feudale, ovvero con pochi che prendono le decisioni limitando il diritto di discussione dei cittadini.

1848

Nel 1848 la Svizzera si è dotata con le proprie forze di una nuova forma liberale e democratica: il nostro Paese aveva finalmente trovato il coraggio di creare un caso a parte. Contrariamente alle costituzioni dell’Elvezia (1798), della Mediazione (1803) e della Restaurazione (1814), la Costituzione federale del 1848 è stata creata senza l’ingerenza di potenze straniere, partendo unicamente dalla volontà della maggioranza dei cittadini svizzeri. Dopo aver ceduto per 50 anni alla pressione e agli interessi degli stranieri, nel 1848 ha trovato il coraggio di fare in tutta autonomia e sovranità ciò che le sembrava giusto. Gli altri Paesi europei hanno osservato quest’evoluzione con scetticismo, diffidenza e anche con una pronunciata avversione.

Ma nel 1848 il nostro Paese ne aveva abbastanza delle ingerenze e dei tentativi di ricatto dei Governi esteri. Nella sua qualità di repubblica democratica la Svizzera è rimasta in Europa un caso unico fino al XX secolo. Per quanto riguarda il federalismo, la democrazia diretta, la neutralità e l’autonomia dei comuni, essi sono rimasti casi particolari fino ai nostri giorni! E questo addirittura a livello mondiale.

Signore e signori, chi vuole rinunciare alla sovranità nazionale, tradisce l’idea dello Stato federale del 1848!

Dopo il 1848 la Svizzera è diventata uno dei Paesi più pacifici del mondo. Chi opta per la neutralità e per la non ingerenza e che desidera commerciare con i Paesi di tutto il mondo non è nemmeno tentato di scatenare guerre. Nel 1848 lo Stato federale ha vietato ai Cantoni la stipulazione di alleanze militari e, di lì a poco, ha vietato ai cittadini svizzeri di prestare servizio militare per altri Paesi. Chi intende oggigiorno inviare soldati all’estero senza pensare che possano perdervi la loro vita e senza realizzare che in tal modo si parteggia per qualche potenza estera, tradisce l’idea dello Stato federale del 1848.

Il mandato dell’ASNI
In un’epoca in cui disprezzare l’indipendenza e la neutralità sta andando di moda, l’ASNI è chiamata a una grande responsabilità. Oltre dieci anni fa si è fissata come obiettivo la salvaguardia dell’indipendenza e della sovranità del nostro Paese. All’epoca stava cominciando a manifestarsi il disorientamento della Svizzera.

L’ASNI deve portare a termine un mandato importante. L’ASNI deve battersi per il bene supremo dello Stato. Per far questo deve purtroppo lottare contro le autorità che, in base alla Costituzione, dovrebbero difendere l’indipendenza, l’autonomia e la sicurezza del nostro Paese. È l’ASNI – chi altrimenti? – che deve condurre questa lotta al fronte.

So bene quel che pensate e vi capisco: sono numerose le persone che si disperano per lo schiacciante predominio del Governo, del Parlamento, della stampa, dei media e della burocrazia delle associazioni che seguono tutti la via sbagliata. Di fronte a queste orde che emulano superficialmente una tendenza alla moda, un sentimento d’impotenza e di rassegnazione si impadronisce di vasti strati della popolazione.

Ma se passo in rassegna gli ultimi dieci anni, constato pure una crescente forza da parte nostra:

1. Le nostre valutazioni della situazione e i relativi concetti si sono rivelati fondati. Ecco perché non abbiamo avuto bisogno di riprendere di anno in anno i nostri concetti e le nostre azioni. La valutazione approfondita della situazione, le numerose lotte nelle notti a cavallo fra il 1991 e il 1992 prima del combattimento contro il SEE sono valse la pena, poiché ci hanno permesso di valutare correttamente sia l’UE sia l’evoluzione nel nostro Paese. La decisione secondo cui la libertà, ovvero il diritto all’autodeterminazione e di votare nel proprio Paese, – la democrazia diretta, ovvero il principio di consultare i cittadini anche per votazioni su questioni materiali – e il benessere sono meglio protetti in un piccolo Stato indipendente, neutrale e aperto al mondo come lo è la Svizzera, si dimostra perfettamente fondata. Non è il caso di rimetterla in discussione!

2. Nonostante lo schiacciante predominio di quanti volevano il contrario, i cittadini svizzeri e i Cantoni si sono ripetutamente pronunciati a favore dell’indipendenza e della neutralità. Ciò ha permesso di preservare la Svizzera da errori politici che avrebbero avuto gravi conseguenze.

3. Ma la nostra forza è soprattutto l’impegno dei nostri membri. Si tratta di un vantaggio che abbiamo nei confronti dei nostri avversari, che dispongono dei mezzi necessari, ma che si battono senza il cuore, lo spirito e l’anima, facendo ricorso a termini generici quali “apertura, globalizzazione e solidarietà”. Chi nuota con la corrente non ha bisogno di riflettere né di impegnarsi o di lottare. Solo chi pensa e si dimostra critico può resistere a tutto questo. È ovvio, quindi, che chi nuota controcorrente viene escluso e coperto di insulti. Ma è proprio questo a renderci resistenti, indipendenti e forti. Non dimenticate che sono proprio le persone che vanno controcorrente che arrivano alla sorgente!

4. Oggi la nostra situazione di partenza è nettamente migliore rispetto al 1992, poiché siamo meglio organizzati:

L’ASNI conta oggi oltre 30’000 membri. In occasione della lotta al SEE eravamo appena 7’200 persone. Dal solo anno scorso i nostri effettivi sono aumentati del 23%, ovvero di oltre 5’700 membri.

Il nostro fondo di lotta destinato alle votazioni è attualmente dotato di 3,1 milioni di franchi. Ciò permetterà di realizzare senza dubbio qualcosa. Ma non è ancora sufficiente: l’importanza maggiore fa data va all’impegno di tutti i nostri membri in ogni comune, con i conoscenti, sul luogo di lavoro e con gli amici.

Nel frattempo il personale e l’amministrazione del nostro segretariato centrale sono stati rafforzati:

Dal 1° aprile il consigliere nazionale Hans Fehr ha assunto la direzione a tempo pieno succedendo al signor Gartenmann che aveva svolto perfettamente tale funzione dando prova di grande perseveranza nell’ambito di un impiego a metà tempo.

Il signor Gartenmann continuerà a garantire a metà tempo la supplenza di Hans Fehr.

L’anno scorso il nostro sistema informatico è stato potenziato considerevolmente attraverso l’installazione di nuovi computer e nuovi software.

L’anno scorso l’ASNI ha creato anche un proprio sito sull’Internet che permette di contrastare le informazioni unilaterali diffuse dalla stampa.

Tutte queste misure hanno rafforzato considerevolmente la forza di penetrazione dell’ASNI, aspetto questo di primaria importanza per affrontare le lotte che ci riserva il futuro. Dobbiamo prepararci a campagne elettorali difficili che sono di capitale importanza per la salvaguardia dell’indipendenza e della neutralità. Dobbiamo prepararci alle seguenti votazioni: a una votazione sull’UE, a una seconda votazione sul SEE, a un’eventuale votazione in caso di esito insoddisfacente dei negoziati bilaterali, a una nuova votazione sull’ONU, a una modifica della Costituzione e della legislazione che prevede truppe armate all’estero.

Un bagliore all’orizzonte

Signore e signori, la nostra situazione di partenza è migliorata considerevolmente. Fa enormemente piacere constatare come negli ambienti economici non vi sia praticamente più nessuno a favore di un’adesione all’UE. Le persone a capo dell’economia, che nel 1992 e anche dopo avevano considerato economicamente necessaria un’adesione all’UE, annunciano oggi molto apertamente che un’adesione all’UE non rientra in discussione. Essi ammettono pubblicamente che le somme ingenti che vanno da 5 a 7 miliardi di franchi all’anno non sono tollerabili e che un’adesione all’UE non è compatibile con i nostri diritti popolari. In realtà gli ambienti economici si sono resi conto dei vantaggi offerti da una Svizzera indipendente, neutrale, aperta al mondo e situata al di fuori dell’UE. Gli ambienti economici non si impegneranno dunque a favore di un’adesione all’UE. E questo, signore e signori, è un aspetto molto importante: grazie alla votazione sul SEE, grazie al nostro infaticabile impegno a favore dell’indipendenza, un numero crescente di rappresentanti dell’economia ha capito che un’adesione all’UE è una cattiva soluzione e che lo resterà tale. Il tempo ha lavorato a nostro favore.

Conclusione

Signore e signori,

Chi osserva da vicino le discussioni concernenti l’UE l’attitudine sommessa del nostro Governo di fronte ai ricatti che giungono da ambienti americani la leggerezza di cui si dà prova per quanto concerne la Fondazione della solidarietà i numerosi segnali lanciati all’estero per suggerire che riconosciamo le nostre colpe la mancanza di un concetto e il disorientamento manifestati durante i negoziati bilaterali realizza ciò che ho già constatato l’anno scorso e che, purtroppo, vale anche per quest’anno: mai nel corso di questo secolo l’indipendenza, la neutralità e il diritto all’autodeterminazione della Svizzera sono stati minacciati come in questi anni, e questo dall’interno, dal Governo e dal Parlamento.

E noi, signore e signori, dobbiamo opporci con fermezza a questa situazione. Noi, ovvero l’ASNI tutta intera, dobbiamo lottare insieme a quelli che condividono le nostre idee in seno al nostro Paese. Già in sede di campagna elettorale contro il SEE eravamo Davide che affronta Golia. Si tratta dunque di un fatto biblico che un Davide può ogni tanto vincere contro un Golia. Noi abbiamo dalla parte nostra la buona causa e gli argomenti. Ciò mi permette di guardare al futuro con ottimismo!

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