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01.01.2000

Discorso augurale di capodanno 2000

1 gennaio 2000 Gentili Concittadine,Cari Concittadini, Se oggi - 1° gennaio dell'anno 2000 - faccio un bilancio del secolo appena trascorso, è con sentimenti contrastanti: ci lasciamo alle spalle un secolo che ha visto i peggiori eccessi di nazionalismo e socialismo, due sistemi ugualmente nemici dell'uomo che, in alcuni casi, si sono sciaguratamente uniti per dar vita al "nazionalsocialismo". Dittatori di entrambi i sistemi hanno elevato l'onnipotente Stato a divinità, calpestando e soffocando la libertà dell'individuo. Le conseguenze sono state il razzismo da un lato e l'odio di classe dall'altro, con milioni di morti, fame, miseria, guerre e una marea senza fine di profughi. Tuttavia, anche nei momenti più bui, capita di assistere ad eventi straordinari e noi Svizzeri possiamo constatare con gratitudine che, anche negli anni che hanno visto la nascita e lo sviluppo di brutali dittature e sussulti totalitaristici, il nostro piccolo paese, spesso unica voce nel panorama europeo, ha sempre saputo tenere alta la fiaccola della libertà, della giustizia e della democrazia. Si trattava in quegli anni di difendere la nostra sovranità, neutralità, i nostri diritti di popolo democratico ed il nostro federalismo contro la sfida di dittature improntate al disprezzo dell'uomo. Il "welfare state" come nuovo strumento di assoggettamento E tuttavia, all'inizio del XXI secolo sorge spontanea una domanda inquietante: la caduta dei regimi comunisti e fascisti è bastata a seppellire per sempre l'idea di uno Stato onnipotente? Oggi l'individuo è tornato ad assumere la posizione centrale che gli spetta? Purtroppo no! Alle soglie del XXI secolo, i socialisti, ormai inesorabilmente alla deriva, hanno trovato una nuova ancora di salvezza a cui aggrapparsi: l'onnipresente "welfare state" di cui tessono le lodi con altisonanti frasi moralistiche e progressiste. Poco importa a loro che questo stato assistenziale renda gli individui schiavi dello Stato, che li renda a forza dipendenti e vassalli distruggendo ogni libertà personale, indipendenza, intraprendenza e proprietà privata. La ridistribuzione ad opera dello Stato, reclamata in misura sempre crescente anche da circoli borghesi, porta alla massificazione, al centralismo e alla burocrazia sociale. Non è un caso che i moralisti di sinistra e ferventi intellettuali si servano di slogan come "giustizia" e "solidarietà" nel loro appello a favore del rovinoso potenziamento del "welfare state". Non sono forse loro che, dai loro scranni di ben pagati funzionari, tengono in mano le leve di comando di questo strumento di coercizione? I piccoli gruppi - a cominciare dalle famiglie - con il loro calore umano e la vera solidarietà, devono così cedere il passo ad una burocrazia anonima. È questo che vogliono i patiti della ridistribuzione. Per questi pseudo-santi, le cui pretese non conoscono confini, la limitazione del potere statalista, l'autonomia dei comuni, il federalismo, rappresentano il Male con la M maiuscola. Se dipendesse da loro, entrerebbero subito a far parte dell'Unione Europea, dove vedrebbero realizzati nella forma più compiuta, senza freni e senza limiti, lo strapotere statale, la rigidità burocratica e il giogo fiscale sulle spalle degli individui. La responsabilità personale come via verso il futuro L'allargamento dell'assistenza da parte dello Stato non può reggersi unicamente sul supporto fornito dai redditi più elevati e pertanto i costi che essa produce vanno a gravare anche su coloro che dovrebbe sostenere. Si spiega così come mai nel nostro paese lo Stato con una mano toglie e con l'altra rende. Peccato però che queste manovre comportino perdite rovinose! Per questo motivo, nel XXI secolo, dovremo più che mai opporre la responsabilità personale e la libera economia di mercato al rovinoso "welfare state" che, di questo passo, anziché Stato del "benessere" si avvia a diventare piuttosto uno Stato di povertà. È questa l'unica premessa per la libertà, il diritto, la pace e la giustizia. Il segreto del suo successo si chiama concorrenza, intraprendenza e proprietà privata. In nessun caso si deve permettere allo Stato di appropriarsi del potere in tutti i settori della vita. Proprio come nella democrazia il cittadino votante deve avere il potere decisionale ultimo, così anche nell'economia di mercato l'ultima parola deve spettare al consumatore. Il peso crescente di tasse, imposte e oneri obbligatori sta paralizzando la nostra economia e la nostra vita e finirà col distruggerle. Con questa tassazione sempre più sfrenata lo Stato ha in mano uno strumento subdolo e discreto con cui provvedere all'arbitrario sovvertimento del libero gioco dell'economia di mercato e con cui punire gli intraprendenti. Atteggiamenti pseudomonarchici La politica con la sua ridistribuzione, l'indebitamento dello stato e la burocrazia sono purtroppo divenuti troppo potenti, troppo importanti e troppo costosi anche nel nostro paese. A Berna il Governo, i Parlamentari e i media al loro servizio si comportano come se il destino della Svizzera si decidesse nella sede del Parlamento Federale. Questo è uno stravolgimento della realtà che guarda solo alla superficie e non alla sostanza delle cose. No, non è questa la verità. Vero, invece, è che i risultati conseguiti dal nostro paese non si devono alle discussioni politiche, alle riunioni parlamentari e alle conferenze stampa, bensì all'onesta attività che cittadine e cittadini svolgono in famiglia, al lavoro, in seno ad enti e associazioni. Il nostro Governo però sembra sempre meno disposto ad accettare questa verità. Presidenti e Consiglieri Federali sembrano considerare la propria funzione in seno agli organi collegiali sempre più alla stregua delle cariche di capi di stato esteri o di teste coronate, dimenticando che da noi ogni potere sovrano emana dal popolo. Negli ultimi anni nella nostra repubblica alpina si sono diffusi atteggiamenti pseudomonarchici. I vari Consiglieri Federali si sentono in dovere di riversare sul popolo svizzero, come padri dispotici, discorsi virtuosi, gesti moralistici e insistenti suppliche per il futuro. Il primo diritto del popolo svizzero dovrebbe essere quello di essere lasciato in pace dai suoi politici, per potersi dedicare in tutta serenità ai propri doveri quotidiani. Sarebbe davvero ora che il Consiglio Federale si svegliasse e si rendesse conto di una cosa: se uno cammina sui trampoli in fin dei conti si regge sulle proprie gambe e anche chi siede sul trono più sfarzoso, poggia pur sempre sul proprio deretano! Elogio del piccolo Lo Stato moderno del XXI secolo deve limitarsi ai propri compiti principali. Nei settori che gli competono deve saper imporsi con tutta la forza della propria autorità. Tutto il contrario di quanto accade oggi, ad esempio per quanto riguarda la politica d'asilo o la criminalità in continuo aumento. Invece le frenetiche attività che impegnano lo Stato e l'interventismo sconsiderato in campi fuori dalla competenza statale, non fanno che incrementare il malumore nei confronti dello Stato, il disprezzo della legge e il malcontento fiscale. Io mi auguro che nel XXI secolo, invece della massificazione socialista, prevalga nuovamente il dovuto riconoscimento del valore dell'individuo, del significato del singolo come entità incomparabile, insostituibile e inestimabile. Tutti noi, cittadine e cittadini, e in primo luogo le nostre autorità, dobbiamo riscoprire e difendere i valori della democrazia diretta del nostro piccolo paese, senza cercare il bene che non c'è nel culto del colossale e nella supina venerazione del grande. Spesso la vera grandezza interiore sta proprio in ciò che è piccolo e molteplice piuttosto che nel grande e unitario. Se riusciremo a trovare il coraggio e la forza per difendere questi valori, la Svizzera continuerà a rappresentare anche nel nuovo secolo una felice eccezione in Europa e nel mondo. Nella sua storia il nostro paese si è sempre retto sull'equilibrio tra città e campagna, tradizione e modernità, libertà e ordine, coraggio e pacifismo. Pur con tutte le sue mancanze e difetti, possa anche in futuro resistere ad ogni tempesta, grazie alla sua forza e ad una benevola opera della Provvidenza. La necessaria premessa sta però nella volontà di continuare a resistere al veleno del socialismo, dello statalismo e del feudalesimo inteso come potere di pochi sui molti. Fortunatamente ogni giorno posso constatare che questa volontà e questa forza sono ancora ben presenti in ampi settori della popolazione - a dispetto dei costanti tentativi d'indottrinamento dall'alto. Auguro a voi ed a noi tutti la forza di riflettere sui tesori del nostro paese - sovranità, responsabilità personale, libertà e pacifismo - ed auguro a voi ed al nostro paese un nuovo anno veramente buono!

01.01.2000

Neujahrsansprache 2000

1. Januar 2000 Liebe Mitbürgerinnen, liebe Mitbürger, Wenn ich heute - am 1. Januar des Jahres 2000 - eine Bilanz über das eben zu Ende gehende Jahrhundert ziehe, dann tue ich es mit zwiespältigen Gefühlen: Wir blicken zurück auf ein Jahrhundert der schlimmsten Auswüchse des Nationalismus und des Sozialismus, wobei sich beide menschenfeindlichen Systeme zeitweise als "Nationalsozialismus" vereinigt haben. Braune und rote Diktatoren haben den für alles zuständigen Staat zum Abgott gemacht und die Freiheit des Einzelmenschen verachtet und erstickt. Die Folge war Rassenhass auf der einen Seite, Klassenhass auf der anderen Seite mit vielen Millionen von Toten, mit Hunger, Elend, Kriegen und unendlichen Flüchtlingsströmen. Aber immer, wenn besonders Schlimmes geschieht, geschieht ja gleichzeitig auch Wunderbares: Am zu Ende gehenden Jahrhundert dürfen wir Schweizerinnen und Schweizer dankbar feststellen, dass unser kleines Land auch in den Jahren der schlimmsten Diktaturen und der totalitären Herausforderung das Lämpchen der Freiheit, der Gerechtigkeit und der Demokratie hochgehalten hat, zeitweise als praktisch einziger Staat auf dem europäischen Festland. Es ging darum, unsere Souveränität, unsere Neutralität, unsere direkt demokratischen Volksrechte und unseren Föderalismus gegen die Herausforderung von menschenverachtenden Diktaturen zu verteidigen. Der "Wohlfahrtsstaat" als neues Mittel zur Unterjochung Doch am Übergang zum 21. Jahrhundert ist besorgt die Frage zu stellen: Ist etwa mit dem Zusammenbruch der braunen und roten Gewaltherrschaft die Idee des allmächtigen Staates überwunden worden? Ist der Einzelmensch heute endgültig wieder in den Mittelpunkt gerückt worden? Leider nicht! An der Schwelle zum 21. Jahrhundert klammern sich die geistig schiffbrüchig gewordenen Sozialisten an einen neuen Rettungsring: Es ist der alle Bereiche umfassende "Wohlfahrtsstaat", den sie mit lautstarken moralistischen, fortschrittlich tönenden Phrasen bejubeln. Es ist ihnen gleichgültig, dass dieser Wohlfahrtsstaat die Menschen zu Staatssklaven macht, dass er zwangsläufig in Abhängigkeit und Knechtschaft mündet und dass er die persönliche Freiheit, Unabhängigkeit, Risikobereitschaft und das Eigentum zerstört. Die auch von bürgerlichen Kreisen zunehmend geförderte staatliche Umverteilung führt zu Vermassung, Zentralismus und Sozialbürokratie. Es ist kein Zufall, dass linke Moralisten und eifernde Intellektuelle mit Schlagwörtern wie "Gerechtigkeit" und "Solidarität" nach dem ruinösen Ausbau des "Wohlfahrtsstaats" rufen. Sie sind es ja schliesslich, die als gut bezahlte Funktionäre in diesem Zwangsapparat die Kommandostellen innehaben. Die kleineren Kreise - angefangen bei den Familien - mit ihrer menschliche Wärme und echter Solidarität müssen so der anonymen Bürokratie weichen. Diesen Umverteilern gefällt dies. Diesen Pseudo-Heiligen mit ihrem Totalanspruch ist die Beschränkung der Staatsmacht, die Gemeindeautonomie, der Föderalismus oder die direkte Demokratie ein Greuel. Am liebsten möchten sie sofort der EU beitreten, wo die staatliche Allmacht, die bürokratische Erstarrung und die Steuerlast des Einzelnen auf höherer Ebene und darum noch ungehemmter und umfassender wäre. Die Selbstverantwortung als Weg der Zukunft Diese zunehmende staatliche Massenversorgung kann nicht allein von den hohen Einkommen getragen werden; die Kosten davon werden auch denen aufgehalst, für die sie bestimmt ist, und so holt der Staat in unserem Land den Bürgern das Geld aus der linken Tasche, um es ihnen wieder in die rechte Tasche zu stecken - nur leider mit den gewaltigen Leistungsverlusten dieses staatlichen Umwegs! Dem ruinösen "Wohlfahrtsstaat", der zum Armutsstaat wird, müssen wir deshalb im 21. Jahrhundert wie nie zuvor die Selbstverantwortung und freie Marktwirtschaft entgegenhalten. Diese allein sind Voraussetzung für Freiheit, Recht, Friede und Gerechtigkeit. Ihr Erfolgs-Geheimnis heisst Konkurrenz, Risikobereitschaft und Privateigentum. Niemals darf der Staat die Herrschaft über das gesamte Leben an sich reissen. Genau wie in der Demokratie der mündige Stimmbürger, muss im Markt der mündige Konsument die letzte Entscheidungsmacht besitzen. Eine ständig steigende Last von Steuern, Gebühren und Zwangsabgaben lähmt unsere Wirtschaft und unser Leben zunehmend und wird diese schliesslich zersetzen. Denn mit der immer hemmungsloseren Besteuerung besitzt der Staat ein heimtückisches und diskretes Lenkungsinstrument, um das freie Spiel der Marktwirtschaft willkürlich zu verzerren und die Leistungswilligen zu bestrafen. Pseudomonarchische Allüren Die Politik mit ihrer Umverteilung, Staatsverschuldung und Bürokratie ist leider auch in unserem Land viel zu mächtig, viel zu wichtig und viel zu teuer geworden. In Bern tun Regierung, Parlamentarier und die ihnen zugetanen Medien so, als ob sich das Schicksal der Schweiz im Bundeshaus entscheiden würde. Dabei ist dies ein ähnlich grobes Zerrbild der Wirklichkeit, wie wenn wir bei einem Glas Milch lediglich den obenauf schwimmenden Schaum beachten würden. Nein, die wirklichen Leistungen in diesem Land werden nicht an politischen Sitzungen, Sessionen und Presse-Konferenzen erbracht, sondern durch die Bürgerinnen und Bürger in den Familien, an den Arbeitsplätzen, in den Behörden und Vereinen. Dies scheint unsere Regierung aber immer weniger einzusehen. Bundespräsidenten und Bundesräte stellen ihre Funktion im Rahmen einer Kollegialbehörde immer mehr auf die gleiche Stufe mit ausländischen Staatschefs oder gar gekrönten Häuptern und scheinen zu vergessen, dass hierzulande alle Souveränität vom Volke ausgeht. In unserer Alpenrepublik haben sich in den letzten Jahren pseudomonarchische Allüren ausgebreitet. Einzelne Bundesräte glauben, sie müssten das Schweizervolk wie despotische Hausväter mit tugendsamen Reden, moralischen Gesten und eindringlichen Zukunfts-Beschwörungen eindecken. Dabei hätte das Schweizervolk in allererster Linie das Recht, von seinen Politikern in Ruhe gelassen zu werden, um sich ungestört den Pflichten des Alltags zu widmen. Es wäre höchste Zeit, dass der Bundesrat merken würde: Selbst wer auf Stelzen geht, steht noch immer auf seinen gewöhnlichen Beinen, und selbst wer auf dem prächtigsten Regierungssessel thront, sitzt dort noch immer mit seinem gewöhnlichen Gesäss! Lob des Kleinen Der moderne Staat des 21. Jahrhunderts muss sich auf seine Kernaufgaben beschränken. In jenen Bereichen, die ihm zukommen, müsste er sich aber mit der ganzen Kraft seiner Autorität durchsetzen. Gerade dies geschieht heute nicht, etwa in den Bereichen des Asylwesens oder der zunehmenden Kriminalität. Stattdessen führen hektische Staatsaktivitäten und Staatsinterventionen auf unnötigen Gebieten zunehmend zu Staatsverdrossenheit, Gesetzesverachtung und Steuermüdigkeit. Ich wünsche, dass im 21. Jahrhundert anstelle der sozialistischen Vermassung der Wert des Individuums wieder erkannt wird, die Bedeutung des Einzelmenschen, der etwas Unvergleichliches, Unvertauschbares, Unschätzbares ist. Wir Bürgerinnen und Bürger, erst recht aber unsere Behörden, müssen wieder zu den Werten unseres direkt demokratischen Kleinstaates stehen und das Heil nicht weiterhin im Kult des Kolossalen und im Kniefall vor dem Grossen suchen. Denn oft ist das äusserlich Kleine und Vielgestaltige innerlich grösser als die machtvolle Grösse und Einheit. Wenn wir dazu den Mut und die Kraft haben, bleibt die Schweiz auch im neuen Jahrtausend ein europäischer und weltweiter Sonderfall. Sie hat in ihrer Geschichte den Ausgleich von Stadt und Land, von Tradition und Modernität, von Freiheit und Ordnung, von Tapferkeit und Friedensliebe bewältigt. Bei allen Mängeln und Unvollkommenheiten wird sie auch künftige Stürme meistern, sei es dank eigener Kraft, sei es dank einer gütigen Vorsehung. Voraussetzung dazu aber bleibt der Wille, resistent zu bleiben gegenüber dem Gift des Sozialismus, der Staatsallmacht und dem Feudalismus - der Herrschaft weniger über viele! Ich stelle täglich immer wieder fest, dass dieser Wille und diese Kraft in weiten Teilen der Bevölkerung vorhanden ist - trotz dauernder gegenteiliger Berieselung von oben. Ich wünsche Ihnen und uns allen viel Kraft, um sich auf die Stärken unseres Landes - Souveränität, Selbstverantwortung, Freiheit und Friedensliebe - zu besinnen und wünsche Ihnen und unserem Lande ein gutes neues Jahr! Christoph Blocher, Nationalrat SVP

18.12.1999

Meine Antworten auf die Fragen von Beat Kraushaar

Artikel im SonntagsBlick vom 18. Dezember 1999 Der "SonntagsBlick" vom 19. 12. 1999 macht mir zum Vorwurf, ich hätte in den Jahren 1996 und 1997 zwei extremistischen Zeitschriften ein Interview gewährt. In meinen Antworten stellte ich auf die Fragen des "SonntagsBlick" klar, dass ich nur für den Wortlaut meiner Aussage verantwortlich sei, nicht aber für die mir unbekannten Journalisten und deren mir ebenfalls unbekannten Publikationen. Dass ich in den beiden kritisierten Interviews keinerlei extremistischen Gedanken geäussert habe, zeigt der hier in vollem Wortlaut wiedergegebene Inhalt der beiden Interviews: 1. Warum haben Sie diesen beiden rechtsextremen Publikationen (Nation & Europa, National-Zeitung) ein Interview gewährt? Im Falle von "Nation & Europa" hat mich ein mir unbekannter freischaffender Schweizer Journalist nach einer Veranstaltung um ein Interview gebeten. Bei der "National-Zeitung" handelte es sich um schriftlich beantwortete Fragen. Wenn ich Interviews gewähre, heisst dies noch lange nicht, dass ich mich mit der Tendenz der jeweiligen Medien identifiziere. Sonst würde ich mich ja kaum mit den Journalisten des "SonntagsBlick" unterhalten. 2. Wussten Sie, dass diesen beiden Publikationen von Rechtsextremen herausgegeben werden? Nein. Da ich weder mit in- noch mit ausländischen rechtsextremen Kreisen die geringsten Kontakte pflege, kenne und lese ich beide Zeitungen nicht. In meiner Tätigkeit als Unternehmer und Politiker haben randständige, wirre rechts- oder linksextreme Publikationen keinerlei Bedeutung. 3. Sollte ein Politiker sich jeweils nicht informieren, für welches Umfeld er ein Interview gibt? Nein, denn er ist nur für den Inhalt seiner Antworten verantwortlich, nicht für den Ort des Erscheinens. Und meine Antworten enthalten nicht das geringste extremistische Gedankengut. Wer sich davon überzeugen will, kann die von Ihnen kritisierten Interviews im Internet auf meiner Homepage abrufen. 4. Warum haben Sie im Interview mit der "National-Zeitung" den Generalfeldmarschall Rommel als die grösste soldatische Persönlichkeit der deutschen Geschichte bezeichnet? Weil er dies meiner Meinung nach auch ist. Hohe Achtung hat diesem fähigen Offizier auch sein Hauptgegner gezollt, nämlich der britische Feldmarschall Montgomery. Manfred Rommel stammte aus bescheidenen Verhältnissen, war gründlich, besonnen, schlau, behielt in allen Lagen einen kühlen Kopf und wurde schliesslich von den Nazis zum Selbstmord gezwungen. 5. Wie erklären Sie sich, dass Sie immer wieder in Kontakt mit rechtsextremen Kreisen kommen? Von solchen Kontakten kann keine Rede sein. Wenn mir meine politischen Gegner im Inland mangels besserer Argumente solche Kontakte andichten, gibt es im In- und Ausland ein paar Leute, die mich nicht kennen und schliesslich das glauben, was mir unterstellt wird. 6. Warum grenzen Sie sich nicht deutlicher ab von solchen Kreisen? Ich habe mich immer wieder in aller Schärfe von jedem Extremismus, jeder Form von Gewalt und jedem undemokratischen Verhalten abgegrenzt. In meiner letztjährigen Albisgüetlirede, die in alle Haushalte der Deutschschweiz verschickt wurde, zog ich eine traurige Bilanz dieses Jahrhunderts mit ihrem braunen und roten Terror und der Verachtung der Freiheit des Einzelmenschen. 7. Was werden Sie in Zukunft tun, um nicht wieder im Dunstkreis dieser rechtsextremen Kreise aufzutauchen? Ich werde weiterhin mit aller Kraft meine freiheitliche, liberal-konservative Politik vertreten. Extremisten aller Richtungen werden so erkennen müssen, dass ich mit deren Gedankengut nicht das Geringste zu tun habe. Es ist übrigens auch nicht besonders angenehm, ständig im Dunstkreis des "SonntagsBlick" aufzutauchen.

16.12.1999

Wer konsequent vorgeht, gewinnt immer

Zum Ausgang der Bundesratswahlen vom 15. Dezember Interview mit der Berner Zeitung vom 16. Dezember 1999 Christoph Blocher will den andern Parteien das Leben schwer machen und kündigt eine Offensive in der Romandie an. Interview: Karin Burkhalter Herr Blocher, Sie haben jeweils nur 58 Stimmen geholt. Sind Sie blossgestellt worden? Christoph Blocher: Nein. Unsere Politik ist desavouiert worden. Es ging in der Wahl ja nicht um mich, sondern um den zweiten SVP-Bundesratssitz. Doch FDP und CVP wollen mit der SP zusammenspannen. Offensichtlich will nur die SVP die wählerstärkste Partei angemessen im Bundesrat vertreten haben. Waren Sie der falsche Kandidat, hätte Ihre Partei jemand anderes portieren sollen? Blocher: Das Resultat wäre gleich schlecht oder noch schlechter herausgekommen. Wenn wir einen Hinterbänkler gebracht hätten, hätten alle gesagt: Diesen Kandidaten kennt ja niemand. Und wenn wir eine bekannte und fähige Persönlichkeit portiert hätten, hätte es eben geheissen: Die Person ist zwar gut, die Partei jedoch nicht wählbar. Umfragen zeigten: Auch die Stimmberechtigten wollen keine andere Zusammensetzung des Bundesrates. Blocher: Ich glaube nur an Umfragen, die die SVP selber gefälscht hat. Sie kandidierten widerwillig. Sind Sie erleichtert über Ihre Nichtwahl? Blocher: Ich bin enttäuscht. Niederlagen sind immer bitter. Die SVP macht eine Politik, welche die wählerstärkste Partei vertritt. Folglich muss diese Politik auch im Bundesrat von zwei SVP-Mitgliedern vertreten werden. Eigentlich müssten Sie zufrieden sein. Ihr Win-Win-Manöver ist aufgegangen. Blocher: Wer logisch richtig und konsequent vorgeht, gewinnt immer. Und an diesen Grundsatz haben wir uns gehalten. Und das, obwohl wir wussten, dass wir eine Niederlage einstecken werden. Ist das Thema "Bundesrat Blocher" für Sie abgeschlossen? Blocher: Ist unser Anspruch unbestritten, muss ich nicht wieder kandidieren. Denn wir haben genügend fähige Leute. Wenn eine Ausgangslage wieder einmal so risikoreich ist wie diese, dann werde ich wieder antreten. "Wir sehen uns bei Philippi wieder", haben Sie dem Parlament zugerufen. Das ist ein regelrechter Schlachtruf. Blocher: Das ist ein geflügeltes Wort aus der Literatur, welches man in der Umgangssprache benutzt. Es bedeutet lediglich, dass man nach einer Niederlage an einem andern Ort wieder antritt. Im Sinn von: Mit uns ist zu rechnen. Ihre Partei hat in der Vergangenheit bereits Opposition betrieben. Jetzt wollen Sie einen noch stärkeren Kurs fahren. Blocher: Die SVP hat bislang keine generelle Opposition betrieben. Zur Erinnerung: Viele Vorlagen haben wir mitgetragen - wenn auch widerwillig -, weil wir eine Regierungspartei sind. Inzwischen sind wir wesentlich stärker geworden, im Bundesrat sind wir aber untervertreten. Und das bedeutet: Wir werden den Oppositionsspielraum ausdehnen. Das ist der Auftrag, den uns gestern das Parlament gegeben hat. Bedeutet die härtere Gangart auch, dass Sie in der Romandie offensiver werden. Blocher: Ganz klar. Wir werden die Sektionen und die guten Leute vermehrt fördern. Denn wir haben gemerkt, dass im Welschland für die SVP ein sehr guter Boden vorhanden ist. Auch wenn ich persönlich und die Partei dort von den Medien diabolisiert werden. Ein anderes Vorhaben ist die Volkswahl des Bundesrats. Blocher: Der gestrige Tag hat mir einmal mehr gezeigt, wie nötig diese ist. Die Mauschelei und Spielerei rund um die Wahlen führt nur zu einer unglaublichen Abhängigkeit der Regierung vom Parlament. In der SVP ist die Volkswahl noch umstritten. Vor allem unsere Parlamentarier lassen nicht gerne Kompetenzen fallen. Aber die Delegierten haben ihr im Grundsatz zugestimmt. Sie wurden vom Zürcher Philosophen Georg Kohler als "notwendiger Agent der Geschichte" bezeichnet. Sehen Sie sich auch so? Blocher: Ich weiss nicht, was diese Bezeichnung bedeuten soll. Es braucht Sie offenbar, damit sich etwas bewegt. Blocher: Das kann schon sein. Aber wenn ich es nicht wäre, wäre es möglicherweise jemand anders.

08.12.1999

So oder so gibt es eine Klärung

Christoph Blocher zum Anspruch der SVP auf einen zweiten Bundesratssitz Interview mit der Zürichsee-Zeitung vom 8. Dezember 1999 Für SVP-Nationalrat Christoph Blocher ist es nur folgerichtig, dass sich seine Bundesratskandidatur gegen den politischen Gegner, die SP, richtet. "Nicht wir, sondern SP und CVP haben mit der Konkordanz gebrochen", bilanziert er im Interview mit dieser Zeitung. Hätte die CVP auf einen Sitz verzichtet, so wäre am 15. Dezember nicht er, sondern eine andere Persönlichkeit SVP-Kandidat. von Roland Meier Stört es Sie, wenn Sie von den Medien als Volkstribun tituliert werden, als einer, der sagt, wo es in der SVP lang geht? Christoph Blocher: Wenn man unter Volkstribun jemanden versteht, der so redet, dass ihn die Leute verstehen, dann lasse ich mir diese Bezeichnung gerne gefallen. Ich gebe mir Mühe, mich so klar auszudrücken, dass mich die Leute verstehen. Selbstverständlich versuche ich auch, innerhalb der Partei Einfluss zu nehmen. Getraut sich in der SVP überhaupt noch jemand, gegen Blocher das Wort zu erheben? Blocher: Aber natürlich. Die Diskussionen in der Partei sind sehr intensiv. Dann aber wird das Ergebnis relativ geschlossen vertreten. Jetzt möchten Sie auch im Bundesrat sagen, wo es lang geht: Welches sind Ihre persönlichen Motive für die Kandidatur? Blocher: Persönliche Motive habe ich keine. Im Gegenteil: Für mich wäre es eine grosse Last, wenn ich das Amt antreten müsste. Aber ich bin bereit, diesen Schritt zu tun, weil wir als wählerstärkste Partei den Wählerauftrag ernst nehmen müssen. Wir müssen bereit sein, diese Politik auch im Bundesrat bestmöglich zu vertreten. Also für weniger Steuern, Abgaben und Gebühren zu sorgen; dafür einzustehen, dass in diesem Land wieder vermehrt für die schweizerischen Interessen eingestanden und die Neutralität geachtet wird. Diese Anliegen können zu zweit besser wahrgenommen werden als mit nur einem SVP-Vertreter. Haben wir nur einen Sitz, müssen wir uns halt von Fall zu Fall von aussen für unsere Überzeugungen einsetzen. Ihre Kandidatur ist nicht gegen die schwächste Partei im Regierungsbündnis gerichtet, sondern gegen die SP, die es auf den gleich hohen Wähleranteil bringt wie die SVP. Ist das nicht ein Widerspruch? Blocher: Wir haben uns für die Konkordanz entschieden. Die Konkordanz ist seit 1959 eine - stillschweigende - Vereinbarung unter vier Parteien. Und die lautet: Unabhängig von der politischen Richtung oder vom Wohlverhalten der jeweiligen Partei ist die Parteistärke massgebend, das heisst die drei grossen erhalten zwei, die kleinste einen Sitz. Bis anhin hatte sich die SVP mit nur einem Vertreter zu begnügen, weil wir jahrelang eben die Kleinsten waren... ...was sich am 24. Oktober schlagartig geändert hat? Blocher: Ja, jetzt gehören wir zu den Grossen. Wir haben den höchsten Wähleranteil und die CVP den tiefsten. Nachdem aber die SP beschlossen hat, die SVP erhalte nie zwei Sitze, ist sie aus der Konkordanz ausgestiegen. Desgleichen die CVP, die an ihren zwei Sitzen festhält. Die Konkordanz kann nur spielen, wenn mindestens drei Parteien dafür sind. Damit wurde die Konkordanz aufgebrochen. Wenn die Konkordanz nicht mehr gilt, haben wir gegen unseren politischen Gegner anzutreten - und das ist eben die SP. Damit kann sich die SVP eher Chancen ausrechnen, als wenn sie die CVP und ihre eben erst gewählten Bundesräte herausfordern würde? Blocher: Da unser politischer Gegner nun mal die SP ist, wäre es, nachdem wir die Konkordanz als gebrochen betrachten, unglaubwürdig gewesen, nicht gegen sie anzutreten. Anders wäre der Fall gewesen, hätte die CVP von sich aus auf einen Sitz verzichtet. In einer solchen Konstellation wäre ich heute allerdings nicht Kandidat. Dann hätten wir genügend gute Leute gehabt, die sich für dieses Amt interessiert hätten und auch angetreten wären. Sie bezeichnen sich selber als Patrioten. Haben Sie keine Bedenken, nach einem Bruch der Konkordanz würde das Land noch mehr auseinanderdriften? Blocher: Nochmals: Nicht wir brechen mit der Konkordanz. Um auf Ihre Frage zurückzukommen: Mit starker bürgerlicher Ausrichtung könnte vieles auch besser werden in diesem Land. Die Bürgerlichen wären zwar einer starken Kritik ausgesetzt. Sie müssten Entscheide fällen, die so gut sind, dass sie vor dieser Kritik bzw. Opposition bestehen können. Nein, Bedenken habe ich keine. Wäre denn ein Mitte-Rechts-Bundesrat überhaupt regierungsfähig, oder ist nicht zu befürchten, dass durch Referenden von links die Politik lahm gelegt würde? Blocher: Das macht doch nichts, wenn Referenden ergriffen werden. Wir sollten sowieso nicht ständig aus der Furcht vor einem Referendum Gesetze erlassen. Gefragt sind Beschlüsse, die vor dem Volk bestehen. Heute wird vielfach in einer Art regiert, dass es ja kein Referendum gibt, das Volk ja nicht abstimmen kann. Für ein solches Politisieren hatte ich nie Verständnis. Wäre nicht der Fall denkbar, dass ein Bundesrat Blocher, eingebunden ins Kollegialsystem, lahm gelegt würde, nicht mehr er selber wäre? Blocher: Diese Frage ist ernst zu nehmen. Ich hätte weniger Einfluss bei Volksabstimmungen und in der Öffentlichkeit, dafür aber mehr innerhalb der Regierung. Würden Sie das Kollegialprinzip respektieren? Blocher: Selbstverständlich. Was sagen Sie zur Hypothese, dass die SVP ohne ihre Wahllokomotive Blocher bei den nächsten Wahlen wieder zurückkrebsen wird? Blocher: Das glaube ich nicht. Die SVP ist nicht mehr nur abhängig von einer Person, wie das vielleicht früher einmal der Fall war. Heute haben wir ein sehr gutes Potenzial an sehr guten Leuten. Wäre eine Nichtwahl für Sie die Legitimation, einen noch härteren Oppositionskurs zu fahren? Blocher: Eindeutig. Wenn ich nicht gewählt werde, ist das ein Wink der Bundesversammlung, dass sie die SVP nicht gemäss ihrer Stärke in der Regierung will. Also ist unsere Überzeugung ausserhalb zu vertreten, das heisst wir müssten vermehrt als Opposition Einfluss nehmen. So oder so gibt es am 15. Dezember eine Klärung. Dann dürfte es für Adolf Ogi aber schwierig werden? Blocher: Das glaube ich nicht. Wir beide haben ja nur eine wesentliche Differenz, in der Frage der Neutralität und Unabhängigkeit, in allen übrigen Bereichen aber nicht. Und für solche Fragen hätten wir ja noch immer eine Stimme in der Regierung. Wir würden also nicht einen integralen Oppositionskurs fahren, wie wir das ja auch in der Vergangenheit nicht getan haben, als wir Kompromisse akzeptierten, die wir, wie etwa beim dritten Lohnprozent bei der Arbeitslosenversicherung, als reine Oppositionspartei ziemlich sicher mit dem Referendum angefochten hätten.